FanFiction Lady Oscar | Paris di anna_1755 | FanFiction Zone

 

  Paris

         

 

  

  

  

  

Paris   (Letta 1368 volte)

di anna_1755 

27 capitoli (in corso) - 0 commenti - 2 seguaci - Vietata ai minori di 16 anni

    

 

Sezione:

Anime e MangaLady Oscar

Genere:

Storico - Romantico - Drammatico - Giallo

Annotazioni:

What If

Protagonisti:

Oscar François de Jarjayes - Andre' Grandier

Coppie:

Oscar François de Jarjayes/Andre' Grandier (Tipo di coppia «Generic»)

 

 

              

  


  

 Il vento e il mare 

 


  

 Il vento e il mare

André non era con lei.

Lui non era lì…

 

Comandante…André è stato colpito…è ferito…

Comandante…André è ferito…

 

André non era con lei…

André non c’era…

Non c’era più.

 

Ricordava di averlo chiamato.

Il suo nome e poi il dolore sordo e profondo che si allargava da sé e l’attraversava…

André non era con lei.

Era stato ferito e non era più con lei.

Lui non c’era più…

Non c’era più.

 

Perché quella sensazione ora la stava prendendo senza lasciarle scampo?

Perché lui non c’era più.

Non c’era più.

Solo questo le importava…

Solo questo remoto pensiero ballava nella mente assopita…

 

Rivedere André.

Quasi quanto la stessa esigenza di respirare e muoversi e mangiare e bere e scaldarsi…

Per non morire.

 

L’aveva allontanato da sé, ma, di fatto, non aveva mai realmente sperimentato sulla sua pelle una tale distanza da lui, perché lui era sempre rimasto lì, accanto a lei, seppure immerso in un silenzio ancora più assordante e beffardo di quando vivevano vicini.

 

Si massaggiò le dita, gelate…

L’aria fredda che filtrava dalle fessure arrivava al viso, ai sensi, e la richiamava a lui…

Tutto la riportava ad André.

Il gelo delle nuvole grigie di lontani inverni, trascorsi a chiedersi chi sarebbe cresciuto più in fretta, chi avrebbe colpito il bersaglio più lontano, chi avrebbe saputo saltare l’ostacolo più alto.

Tutto di più, tutto di più di lui…

Tutto la riportava a lui… 

 

La vista si fissò sgranata al baldacchino che avvolgeva il letto.

Indaco trafitto da gigli dorati…

Il corpo immobile, Oscar aprì gli occhi.

Piano…

Era sola…

 

Osservò il chiarore del fuoco, nel camino.

Persino il calore del fuoco…

Il calore era intenso, aveva il sapore della pelle, del corpo di lui, a cui si era accostata, incapace d’abbracciarlo…

Non aveva senso attendere ancora.

“Maledizione…devo muovermi…”.

Ma la sensazione d’essere in mezzo ad una battaglia era lì a frantumare le forze e piegare il respiro, come quando la mente corre impazzita verso un tempo incompiuto che non è dato sapere se appartenga al passato oppure al futuro.

 

Le parole si spensero nella mente…

Un respiro più fondo la fece sussultare, nell’accorgersi che c’era qualcuno nella stanza.

Lei era libera di andarsene quando voleva, ma anche chi abitava a Chambord era libero di violare il suo spazio, appropriandosi di lei, del suo sonno, dei suoi incubi, che pareva fossero coltivati come fiori preziosi da cui attingere la certezza che lei mai avrebbe commesso il falso passo di abbandonare quel luogo.

 

La voce del Colonello Stevenov s’impose sul silenzio.

 “Gradirei che questa sera cenaste insieme a noi…” – esordì dopo essersi alzato da una poltrona nell’angolo della stanza ed essersi avvicinato al letto.

Il tono era cortese ma distaccato.

 

“Non sarei di compagnia” – replicò lei seccamente sollevandosi.

Inspiegabile quell’intromissione ma Oscar stava intuendo che nulla in quel luogo era orchestrato dalle normali regole di convivenza.

 

L’altro non si scompose andando verso la finestra. 

Gli occhi scesero ad osservare il parco, fissandosi sulle due ragazzine che erano ancora fuori, nonostante avesse ripreso a nevicare.

 

Si rincorrevano nella neve, gettandosela addosso, e gli occhi parevano brillare più delle mille scintille di luce che si riflettevano dal manto bianco, moltiplicando all’infinito i raggi di un sole debole, a tratti nascosto da nuvole grigie che avrebbero rovesciato sulla campagna altra neve, altro gelo.

“Sarebbe scortese verso le nostre ospiti”.

Nessuna risposta.

Non ce n’erano.

 

“Penso sia giunto il momento di darvi delle spiegazioni…” – proseguì allora l’uomo.

Il tono era apparentemente seccato, di fronte al silenzio dell’altra, ma poteva di certo immaginarla l’insofferenza dell’altra che detestava con tutta sé stessa dipendere dalle spiegazioni e dal consenso di altri, chiunque essi fossero.

E non si sarebbe certo piegata ad intestardirsi a fare domande o a strapparsi i capelli per avere risposte.

Non era da lei, sebbene la guardia fosse alta.

Il dubbio che lei fosse stata oggetto di un attentato era stato insinuato.

Stava ora comprendere quanto quel sassolino avesse mosso le acque e le avesse intorbidite al punto da impedire alla sua ospite d’intuire la verità.

Piegarla non sarebbe stato facile.

 

L’uomo si voltò esordendo con una domanda.

“Avete parlato con Mademoiselle Diane?”.

Lei non rispose.

Di nuovo.

 

“Lo immaginavo…vi avrà certamente detto cosa sarebbe accaduto se non fossimo intervenuti…”.

“Qualcuno le avrebbe fatto del male…” – mormorò lei incerta.

“Già…ma forse voi non sapete che la persona che l’ha aggredita era un Soldato della Guardia”.

“Mi ha detto che vestiva una divisa simile…ma non sa chi fosse…”.

“Oh…allora sarà tutto più semplice”.

 

La curiosità di Oscar si sollevò come onda di tempesta.

Lo sguardo si piantò sull’altro ed esso raccontava del crudele senso di smarrimento di fronte al gesto di quel soldato, al dubbio che lo accompagnava…

Fare del male ad una giovane donna…oppure…

Un soldato della sua guarnigione…

E lei in mezzo con il suo desiderio di avere tutto ciò che temeva d’aver perso.

E di esserselo preso…

 

Oscar sentì davvero, questa volta, gelarsi il sangue nelle vene. 

Non per il freddo, non per il ghiaccio, ma per ciò che le raccontò Stevenov.

L’affondo più pungente che le riportarono i sensi era che l’uomo pareva assolutamente sincero.

“Quel soldato…io l’avevo notato spesso nelle vostre guarnigioni. E così mi sono permesso di farlo seguire da alcuni dei miei uomini…stando a quanto mi hanno riferito si sarebbe recato in una casa diroccata poco prima dell’esplosione al Louvre. Forse si è incontrato con qualcuno di cui però non so indicarvi l’identità…ma sembra sia legato a circoli di “ribelli” …mi concedete questo termine?” – puntualizzò Stevenov con aria beffarda.

 

“Avete scoperto il suo nome?”.

Stevenov sorrise compiaciuto. Aveva scavato nella coscienza della sua ospite e aveva scoperto il punto debole, ossia uno smisurato senso del dovere ed uno smisurato attaccamento all’ordine delle cose, e tutto questo comprendeva di certo il desiderio spasmodico di conoscere l’autore di tutti quei fatti terribili che si erano susseguiti a Parigi negli ultimi mesi.

“Sabin…Vincent Sabin…mi pare…”.

 

A quel punto la provocazione era evidente.

Lei si alzò in piedi, di scatto, andando contro Stevenov.

“Perché non me ne avete mai parlato? Quell’uomo è pericoloso…”.

“Oh…” – ridacchiò l’altro – “Ma non tanto quanto lo siete voi!”.

 

L’ultimo affondo fece indietreggiare Oscar.

“Che intendete…” – non riuscì a terminare la frase.

 

Il russo sorrise di nuovo.

Quasi un’espressione di compatimento allo stupore dimostrato da Oscar ed al suo manifestare incessantemente la volontà di perseguire l’ordine delle cose attraverso i mezzi della giustizia lecita ed altrettanto ordinata.

 

Il russo pareva propenso a ben altri intenti, altri obiettivi.

Non gl’importava nulla della giustizia e del senso del dovere e dello scovare e punire autori di gesti disgustosi come quello che aveva fatto saltare in aria soldati e gente del popolo a Palace du Louvre, oppure di quelli ai danni della povera Diane.

Aveva altri interessi…

 

Non si fece attendere dal rivelarli.

Si avvicinò, in pochi passi, e si fece contro di lei affondando le dita della mano destra nel viso che immobilizzò.

La spinse indietro fino alla parete della stanza e lei colta di sorpresa si ritrovò bloccata lì, e la mente di colpo si ritrovò anch’essa catapultata in una realtà che aveva solo intravisto e vagamente immaginato.

Ora quella realtà le veniva rivelata in tutta la sua essenza a minare il suo senso del dovere e la sua fedeltà agli incarichi che le erano stati assegnati.

Perché sopra di essi c’erano altri beni, altre persone da proteggere…

Più importanti.

 

“Anche voi siete pericolosa credetemi!” – esordì di nuovo il russo – “Voi che siete a comandare un branco di soldati rozzi e traditori che vi avrebbero volentieri fatto la pelle. Quel Sabin voleva voi…lo capite? Forse è lui quello che ha piazzato l’esplosivo al Louvre. Ed sempre per causa vostra che quello se l’è presa con la giovane Diane. Avrebbe fatto passare la sua scomparsa per la vostra volontà di cancellare le tracce del…del vostro divertimento…ci arrivate adesso?”.

 

L’uomo strinse la presa, impedendole di parlare e quasi Oscar si sentì soffocare.

Lei gli afferrò i polsi tentando di spingerlo via e di voltare la testa per non subire l’aggressione verbale inconcepibile, anche se sapeva che era tutto vero ciò che l’altro se stava rivelando.

 

“Mi spiace per voi…ma siete solo voi la causa di tutto. Voi siete il vero pericolo…per voi stessa…e per chi vi sta intorno…questa gente non vi ha mai compreso…non vi vuole…e per vendicarsi di voi era disposta a togliere di mezzo una come Diane…e una come Mimose…”.

“Voi come fate a sapere tutte queste cose? Che c’entra Mimose adesso?”.

 

Stevenov sorrise cinicamente.

“Avrete immaginato di certo come Mimose si guadagnava da vivere?”.

Il colpo inferto a chiudere il respiro.

Nessuna risposta.

 

“Bene. Ho imparato a conoscervi. So che non amate concedere risposte troppo esplicite a certe domande…anche se sono certo che avete compreso perfettamente di cosa sto parlando”.

Oscar strinse la mano sul polso dell’altro che aumentò ancora la presa.

“Quella mocciosa è diventata molto popolare da quando voi l’avete adocchiata e avete deciso di prenderla sotto la vostra protezione. E per arrivare a voi hanno pensato bene di servirsi di lei…e lei è rimasta invischiata nel vostro dirompente desiderio di farle la carità. Era lassù quella notte, sul tetto dell’Entrague, perché attraverso di lei volevano arrivare a voi. Volevano prendere voi. Lo avete compreso questo?”.

 

Oscar trattenne il respiro mentre ascoltava la ricostruzione tagliente e macabra degli ultimi momenti in cui aveva visto Mimose.

“Quella bambina è una prostituta e come tale è stata trattata da tutti…”.

Uno sguardo feroce tentò di opporsi a quella visione terrificante.

 

L’altro proseguì: “E anche voi…vi siete divertita ad usarla a vostro piacimento…solo che invece di prendere lei come hanno fatto tutti, avete pensato bene di alleggerirvi la coscienza ripulendola e rivestendola per non averla sotto gli occhi lurida e sporca. Bene…adesso però Mimose è libera e…vorrei proprio sapere cosa ha fatto ieri notte quando è venuta da voi?”.

 

Il silenzio scese spezzato a mala pena dal respiro pesante.

“Vi sarete finalmente divertita…” – proseguì Stevenov cinico.

L’affondo colpì i sensi.

“No!” – gridò in una disperata negazione – “No…”.

 

Tentò di ribellarsi.

Il corpo s’irrigidì come a rifiutare con tutto sé stesso la visione che l’altro le rovesciava addosso.

 

“Avreste voluto farlo vero? Adesso non c’è più la vostra coscienza che ripugna l’idea di approfittare di un essere inferiore a voi…e adesso era Mimose che voleva stare con voi…liberamente…così è la morale di quella bambina…” – ghignò l’altro soddisfatto - “Ed è la vostra morale che adesso è stata fatta a pezzi da quella mocciosa. Siete così debole…alla fine non siete altro che un essere che anela a realizzare i propri desideri proibiti ma non riesce a mettere a tacere la propria coscienza…ma…credetemi…io vi convincerò che sarà più conveniente per voi adeguarvi ai vostri stessi desideri…e allora sarete libera…”.

“Voi siete pazzo…io non ho mai desiderato ciò che pensate…Mimose è solo una bambina…” – tentò di ribattere Oscar stremata da quell’assurdo assalto verbale.

 

L’altro parve non cogliere il senso delle parole.

Aveva altri scopi.

“Oh…a tutto c’è rimedio…non temete…se il problema è l’età, ne convengo che l’inesperienza di Mimose possa essere un ostacolo…”.

“Non sapete quello che dite…” – replicò Oscar senza respiro.

“E invece lo so molto bene! Ho imparato a conoscere la morale umana meglio di chiunque altro. La vostra integrità…non è altro che un modo per non perdere il controllo di quello che vi sta attorno. Cedere la propria coscienza ai sentimenti non è conveniente. Su questo non posso che darvi ragione. Ma io non lascio nulla al caso…”.

 

Ogni parola di Stevenov pareva sgorgare dall’inferno e riversarsi come pece bollente sulla pelle. 

“Se Mimose non è di vostro gradimento potrete provare con Diane…”.

“Che state dicendo?” – chiese Oscar tentando di comprendere il filo di quel discorso.

“Prima quel soldato quello che vi puntava un coltello alla gola…e poi…poi quello che vi ha puntato la pistola contro…e ha sparato!”.

 

L’ultimo affondo…

“No”.

Un altro no, imposto dalla disperazione.

 

“Voi non siete fatta per restare in mezzo a questi incapaci. Dentro di voi il desiderio di comandare è più forte della volontà di rispettare semplicemente l’incarico che vi è stato assegnato ed il desiderio di avere per voi ciò che volete è altrettanto forte!”.

“C’eravate anche voi a Place Dauphine allora?”.

 

Oscar respirava di nuovo a fatica…

Gl’istanti furibondi e lividi di quel giorno si rianimarono nella mente.

“Il vostro soldato vi ha sparato…ve l’ho già detto…”.

Nel silenzio…follia…follia pura era ciò che stava accadendo.

“E il Maggiore Girodel ha sparato a lui…”.

“Cosa?”.

 

Oscar sentì il vuoto lacerare i muscoli.

“André…Girodel gli ha sparato?”.

“Era ovvio che lo facesse…quell’uomo rappresentava un pericolo per voi. Il maggiore non ha fatto altro che difendere un suo diritto, quello di tutelarvi da chi stava mettendo in pericolo la vostra vita…”.

“André…non avrebbe mai…”.

 

Il bacio preteso alla Barrier d’Enfer…

L’Inferno nelle vene che reclamava l’impossibile…

Il respiro si perse.

 

André…

L’aveva intravisto un istante mentre riapriva gli occhi, là, a terra a Place Dauphine…

L’istinto l’aveva spinta ad afferrarlo mentre l’onda di piena della Senna lo stava trascinando via. L’aveva preso e si era aggrappata a lui e poi…

Pont Royal…

 

“E’ vivo?” – chiese lei di nuovo.

Il pensiero d’esser stata colpita da lui non aveva forza di sovrastare l’altro pensiero, quell’altro.

“E vivo?” – gridò di nuovo tentando di spingere via Stevenov.

 

La reazione esemplare e diretta non stupì l’altro.

“Ve l’ho già detto, non lo so e la cosa non mi riguarda. Ciò che invece mi riguarda è che voi avete bisogno di altro genere di soldati, di altro genere di vita…e qui in Francia non avreste nulla di tutto ciò! Invece nel mio paese potrete finalmente essere voi stessa e diventare ciò che volete. Vi ricordate cosa vi dissi tempo fa? In Russia una donna può diventare imperatrice e comandare un esercito e dichiarare guerra ad un paese nemico e sposarsi e fare figli e vivere come una qualunque donna”.

 

Il crescendo di quel delirante progetto s’impose sulle residue forze di Oscar che tentò di divincolarsi dalla presa, afferrando il polso che la stringeva, senza spingerlo via ma tenendolo saldo e facendo leva su di esso.

Stevenov strinse ancora di più la presa e lei sentì il respiro venir meno.

 

Oscar si abbassò come per indurre nell’altro la sensazione che anche i sensi l’avrebbero presto abbandonata e il russo allora allentò leggermente le dita della mano.

Lei sentì l’aria tornare a scorrere nella gola, respirò a fatica e tossì…

“Voi non sapete quello che dite. Io non verrò mai con voi…”.

 

Si tirò dietro la mano ed il braccio dell’altro gettandosi a terra e tentando di colpirlo con un candelabro che era riuscita ad afferrare lì accanto.

Il colpo scorse sulla tempia di Stevenov sfiorandolo e costringendolo ad arretrare anche se la distanza maggiore gli consentì di colpire Oscar al viso forte abbastanza da farla barcollare e cadere all’indietro.

Lei ebbe solo la forza di aggrapparsi alle coperte del letto che scivolarono giù e poi si ritrovò l’altro addosso e di nuovo la gola chiusa e lui sopra di lei a tenerla lì, ferma.

L’altro si piegò su di lei.

 

“L’aveva detto che eravate pericolosa…ma io non mi arrendo”. 

“Chi vi ha detto tutto questo? Come fate a sapere cosa è successo a Place Dauphine?”. 

“Ogni cosa a suo tempo…è per questo che questa sera gradirei che cenaste con noi. E tanto per essere chiari non era una richiesta la mia…” – sibilò Stevenov – “Vi consiglio di non tentare di lasciare questo posto. Siete ancora debole e non arrivereste a fare molta strada…ma soprattutto…se mi accorgerò che ve ne siete andata…”.

Parole sospese…

“Quelle due mocciose non rivedranno la luce del sole. Le ho prese da Parigi solo per voi…perché vi possiate divertire in attesa della fine di questo viaggio…non siate tanto convinta di poter fare ciò che volete. E sappiate che mi prenderò cura di voi in tutti i sensi”.

 

La mano a schiacciare il viso contro il tessuto morbido del tappeto allentò lentamente la presa.

Oscar sentì che l’altro si era rialzato e si stava avviando verso la porta.

“Questa sera cenerete con noi!” – concluse freddo tirandosi dietro la porta.

***

La sala da pranzo era illuminata da alcuni enormi lampadari che pendevano dal soffitto, ornati da preziosi intarsi anneriti dal fumo, ammorbiditi quasi dalla cera colata negli anni a riempire le cavità e nascondere le pietre colorate che scorrevano lungo le piccole braccia.

Non tutti i moccoli erano accesi, ma la quantità era sufficiente per rischiarare il tavolo addobbato con motivi floreali e rose bianche, senza profumo, gelate dall’aria fredda di correnti sottili che parevano insinuarsi da angoli nascosti e corridoi scuri che portavano chissà dove.

 

Oscar si mise ad osservare ogni angolo di quel posto, sobrio, senza arredamenti particolarmente ricchi.

Il soffitto era bianco, ombreggiato dal fumo dei candelabri.

Due enormi arazzi coprivano le pareti libere dalle finestre e dal camino forse per contenere più calore nella stanza a mala pena riscaldata dal camino.

L’istinto la condusse accanto al fuoco.

 

Non c’era verso di togliersi il freddo dai muscoli e nemmeno riuscì a tirar fuori le mani ficcate nelle tasche di un’ampia giacca di lana, lunga fin quasi alle caviglie, per accostarle al fuoco e riscaldarle.

Chiuse gli occhi, affidandosi ai suoni ovattati che la circondavano, il gemito della legna piegata dal fuoco, i gesti sobri dei camerieri intenti a predisporre le pietanze sul tavolo.

Il tintinnio delle posate…

 

Oscar contò sei posti.

Non aveva fame. 

La febbre doveva essere salita di nuovo…

Aveva freddo…

Dio era così freddo.

 

I pensieri erano lì, gelati anch’essi dalle assurde reminiscenze d’un passato appena trascorso…

O di chissà quale ancestrale futuro.

Pensieri dispersi, senza un nesso, se non quello che lei non era una semplice ospite…

 

Che cos’era accaduto a Parigi?

André…

Dov’era finito?

 

Tra i rumori riconobbe passi silenziosi che si avvicinavano lentamente, proprio da uno dei corridoi scuri.

Ma il freddo gelava i pensieri, impedendo, per assurdo di raggiungere il più sorprendente abisso.

Solo quando si voltò per comprendere chi stesse arrivando notò una figura alta, quasi imponente, vestita di scuro e sul volto risaltava, ancora in penombra, una folta barba bianca.

 

I sensi all’erta le riportarono l’immagine intravista sull’altare di Notre Dame il giorno della funzione in onore dei principi russi, quella di un prelato che aveva officiato la Messa e se n’era rimasto silenzioso per tutto il tempo, condividendo unicamente i gesti di ostensione e di raccolta in preghiera.

Non l’aveva più visto nel corso delle successive visite di Jurovskj a Parigi.

Solo durante la visita al Louvre…

Le era parso di averlo intravisto al seguito del principe.

 

L’uomo entrò nella sala, la vide e le si avvicinò senza dire una parola. 

Oscar non poté istintivamente che porsi sulla difensiva dato che ormai aveva compreso che in quella casa lei non c’era stata portata per caso, neppure per via dell’aggressione di Place Dauphine.

Ci sarebbero stati mille altri modi di tirarla fuori dalla Senna e lei aveva che vaghi ricordi di quando si era sentita trascinata via dalla corrente e a mala pena era riuscita a raggiungere André e a finire contro il pilone di Pont Royal.

E poi aveva scorto i soldati correre ed affacciarsi al parapetto, mentre le dita scivolavano per via della corrente e del fango…

 

Tutti e due non sarebbero riusciti a salvarli.

E lei non voleva perdere André.

Nemmeno se non ci fosse stata più…

E perché poi portarla fino a Chambord?

 

Nella testa, ovattata dal dolore e dalla febbre, vagavano disorientati scenari di un angusto disegno che la riguardava e di cui lei a poco a poco iniziava ad intuire i contorni.

“Onorato di fare la vostra conoscenza” – esordì l’uomo senza accennare ad inchini o altri convenevoli di sorta. Per rango e per aspetto si sarebbe detto una personalità inferiore ad Oscar, ma l’uomo dava l’impressione di recare una forte sicurezza di gesti e di modi e di pensieri che nessuna buona norma di classe sociale avrebbe potuto scalfire e piegare a più miti ossequi.

 

Oscar non si scompose.

L’altro concedette unicamente di presentarsi.

“Sono Arian Tichinov, ministro spirituale del Principe Jurovskj…”.

“Mi ricordo di voi, eravate alla funzione della cattedrale di Notre Dame”.

“Avete un ottimo spirito di osservazione e devo dire che anch’io fin da subito mi sono accorto di voi”.

 

Il prelato si avvicinò ancora.

Inaspettato fu il gesto dell’uomo, che allungò la mano per afferrare il viso di Oscar che, sorpresa, esitò un istante prima di sottrarsi a quel gesto, l’ennesimo, del tutto invadente e fuori luogo, e senza ragione.

“Sapete…quando mio figlio mi ha rivelato che voi siete una donna, la mia curiosità è crescita notevolmente e devo dire che avervi di fronte mi ripaga finalmente di tutta l’attesa…”.

 

Parole di nuovo all’apparenza oscure…

Nel significato l’insinuarsi di un disegno precostituito di cui s’attende solo l’evolversi. 

Oscar era in guardia, solo non immaginava contro chi o cosa avrebbe dovuto combattere.

 

“Vostro figlio?” – chiese titubante incerta se andare a fondo e comprendere i contorni della strana situazione o restarne fuori. Non poteva in realtà…

L’altro non parlò. Si limitò ad avvicinarsi ancora e ancora e lei allora indietreggiò ancora fino a ritrovarsi quasi accanto al fuoco mentre sordo si sollevava una sorta di gigantesco dubbio oscuro, dall’indefinito color cremisi, proprio come l’uniforme che intravide poco dietro il prelato.

L’eco della voce allegra di Mimose le consentì di sottrarsi allo sguardo incombente e delirante dell’uomo che non si mosse dal punto in cui era arrivato, semplicemente allungando le mani aperte nel gesto di scaldarle davanti al fuoco.

Mimose e Diane comparvero da un altro corridoio seguite dal Colonnello Stevenon in uniforme cremisi e da un’altra persona…

 

“Mademoiselle…” – la bambina le si avvicinò stringendole la mano.

Nemmeno si accorse che Mimose la stava tirando per la camicia.

“Mademoiselle…questo è per voi” – disse porgendole un piccolo fazzoletto ricamato – “E’ il vostro compleanno…oggi…”.

 

Oscar osservò la bambina.

Non s’era resa conto che i giorni erano passati.

Dio…da quanto tempo era lì?

 

“Oggi…è…” – mormorò Oscar.

Nemmeno ricordava più da quanto tempo non festeggiava il suo compleanno.

“Oui mademoiselle…oggi è il giorno del Santo Natale…”.

 

L’ondeggiare lieve della candela ormai consumata disegnava ombre scure e mobili là in fondo, sulla parete della camera un poco spoglia.

Rannicchiata sul letto Oscar sfogliava il libro alla ricerca delle pagine illustrate con le mappe dei paesi lontani che erano descritti.

Un regalo per il suo decimo compleanno.

“Questo sembra proprio uno stivale!” – aveva esclamato tra sé e sé.

 

Lo sguardo leggero sulla penisola italiana e il dito che disegnava lo strano contorno di quell’insolito paese che lei conosceva per le vicende tormentate che ne dividevano il territorio.

Conosceva quel nome…

No…forse un tempo c’era stata in quel posto, ma lei non lo ricordava…

Suo padre gliel’aveva detto…ma lei proprio non se lo ricordava.

 

Un sospiro e poi aveva richiuso il libro appoggiando la testa sulle ginocchia e chiudendo gli occhi, giusto in tempo per ascoltare, nel silenzio della sera, il tiepido bussare alla porta.

E chi poteva essere a quell’ora se non André.

 

Era scesa di corsa ad aprire e l’altro senza esitazione era sgusciato dentro come fosse stata la cosa più naturale del mondo…

Ed invece non lo era.

 

“Che ci fai alzato a quest’ora?” - aveva chiesto lei osservando le mosse furtive dell’amico che si fiondava dietro il letto, dalla parte opposta della porta.

 

Un cenno con la mano e anche Oscar si era ritrovata seduta sul tappeto, nell’angolo più scuro della stanza, intenta ad assaggiare il calore pieno della presenza di André che era capace di sfidare tutti i divieti di rango, di orario, delle regole di sua nonna persino, pur di…

“Ti sei divertita?” – le aveva chiesto André.

 

Oscar aveva fatto una smorfia di mezzo consenso.

Nascere proprio il giorno del Santo Natale non era un grande affare.

Con la scusa che quella ricorrenza aveva di certo la precedenza tra gli impegni formali della famiglia Jarjayes, molto devota alla famiglia reale e alla santificazione degli eventi religiosi, la nascita di Oscar finiva sempre per passare un pochino defilata.

Non che ci si scordasse di lei.

 

Ma il suo anniversario doveva per forza di cose essere il più sobrio possibile, anche perché il Generale Jarjayes aveva stabilito che non venissero fatti regali inutili o costosi o lontani dall’educazione integerrima e maschile che lei stava ricevendo.

Quel libro illustrato ne era appunto un esempio ed un effetto.

 

“Beh…io…” – aveva balbettato André.

“Allora?”

“Oh…ecco…l’anno scorso non ti ho fatto nessun regalo perché la nonna mi aveva avvertito che non potevi ricevere nulla…ma…io…”.

L’altra aveva corrugato le sopracciglia in un’espressione indagatrice e curiosa, più che altro perché André era sempre stato molto diretto nei suoi discorsi con lei e tutti quei “oh…ecco…io…” iniziavano ad irritarla.

 

“Ti decidi a dirmi che sei venuto a fare?” – l’aveva spiazzato lei infastidita e soprattutto assolutamente curiosa.

“Uffa!” – aveva sospirato il bambino.

E poi prima balbettando poi tutto d’un fiato…

 

“Ti – ho – portato – questi - sono – i – miei – regali - questo – era - quello dell’anno – scorso - l’ho conservato – e – poi – te – ne – ho – portato – un altro. Sonoduesperochetipiacciano!!!”.

 

André le aveva rovesciato in grembo due pacchettini, uno più grande e uno più piccolo.

“Ohhhh…”.

 

E la mocciosa gli aveva piantato addosso due occhi stralunati. Lì, dietro al letto, al lume dell’unica candela ormai consumata, nella sera del Santo Natale, le sue mani si erano avvicinate alla carta un poco ruvida, giallina, recuperata chissà dove, dei due involucri, e le sue mani avevano tremato un poco, non tanto per i regali in sé, quanto per il fatto che lei non ci sperava più che qualcuno avesse osato sfidare suo padre e si fosse deciso a spingersi fino a quel punto.

 

André l’aveva fatto e questo per lei era qualcosa d’inimmaginabile e di straordinario.

Ecco perché lui aveva aspettato fino a quel momento e aveva fatto lo gnorri per tutto il santo giorno tanto che lei ad un certo punto si era quasi sentita invisibile…

E lei odiava sentirsi invisibile, soprattutto agli occhi di André.

 

“Allora?” – aveva chiesto lui nervoso – “Non li apri?”.

“Si…”.

 

Oscar aveva iniziato a scartare l’involucro più piccolo.

“Che…che strana!” – aveva esordito sollevando una piccola trottola dalla forma molto piatta e larga, quasi un disco, se si escludevano le due piccole sporgenze che servivano l’una per appoggiarla a terra e l’altra per imprimerle la rotazione con le dita.

Il disco poi era “bucherellato” con degli strani piccoli fori, alcuni di forma rotonda, altri di forma più allungata.

 

“Ma perché è fatta così?” – aveva chiesto appoggiando la trottola a terra ed iniziando a farla ruotare.

 

André aveva portato l’indice alla bocca chiedendole di fare silenzio ed ascoltare.

Il movimento rotatorio della trottola aveva preso a sprigionare una specie di sibilo lieve che si elevava dal punto in cui essa ruotava, fino a richiamare una melodia ancestrale e selvaggia.

Echi di fauni e fate che si rincorrevano chiamandosi nel folto scuro della foresta più nera ed incontaminata dal lezzo degli umani.

 

André aveva sorriso. 

“L’ha fatta mio padre…”.

“Tuo padre?”.

“Quando ero piccolo mi portava con sé qualche volta…”.

“Ma non mi hai detto che era un falegname?”.

“Oh…sì…falegname, fabbro, maniscalco…quel che c’era da riparare o costruire lui lo riparava o lo costruiva. Mi portava con sé quando c’erano da ferrare i cavalli del barone…che però io non mi ricordo come si chiamava. Quando avevamo finito ce ne tornavamo a casa e mio padre mi prendeva sulle spalle e in un mano teneva i suoi attrezzi e nell’altra una gallina o un pollo o una cesta di mele che il barone gli dava come ricompensa…”.

“E la trottola che c’entra?”.

“Alle volte capitava che mio padre venisse ricompensato con una cesta di “niente”…”.

André aveva sorriso facendo spallucce.

 

“Il barone non era ricco. Un giorno ricordo che mio padre aveva portato a casa una bellissima spada, lucida. Gliel’aveva data il barone per un asse della carrozza riparato in fretta e furia. Che se facesse un falegname di una spada proprio io non ci arrivavo a capirlo…ma mio padre mi proibì di toccarla perché era stata affilata da poco… ”.

“Ma la…” – Oscar aveva indicato di nuovo il piccolo oggetto.

“Un giorno avevo deciso di guardarla da vicino e mi ero arrampicato su fino alla cima dell’armadio dove lui teneva la spada, avvolta in uno straccio di cuoio. Era pesante e per tirarla giù io ero caduto e con me era venta giù anche la spada che mi era finita in testa. Per fortuna che c’era il cuoio…”.

 

André si era battuto due volte le nocche sulla testa.

“E per fortuna che hai la testa dura! – aveva chiosato l’altra con un soffio…

 

“Insomma mio padre si era arrabbiato moltissimo e mi aveva punito e aveva deciso che quella spada lui non l’avrebbe più tenuta in casa…”.

“L’ha venduta?”.

“No…l’ha fusa…”.

“Fusa?”.

“Sì…ci ha ricavato due piccole tazze, una per me e una per maman…e poi un coltello per lisciare le pelli e con il resto ci ha fatto questa…”.

 

André aveva indicato la trottola.

“E’ di…acciaio…sì…l’ha chiamato così. E’ molto pesante sai e i buchi servono a creare il fruscio del vento…”.

 

Oscar era rimasta rapita dal racconto e dopo un po’ aveva quasi smesso di ascoltare André.

Una spada che mutava forma…

Acciaio per uccidere che diviene acciaio per continuare a vivere!

Si era appoggiata con la guancia a terra e aveva ricominciato a far girare e girare la piccola trottola sul pavimento e ascoltava quel rumore lieve ed intenso, come una specie di melodia che a tratti richiamava il sibilo lento del vento attraverso i rami ancora spogli degli alberi a primavera.

“E’ bella!” – aveva detto piano lasciandosi cullare da quel suono.

 

“Apri l’altro…”.

“Oh…sì…va bene…”.

Le dita si erano mosse più velocemente questa volta e la carta aperta aveva lasciato intravedere una conchiglia piuttosto grande, quasi quanto la mano di Oscar.

Un’altra esclamazione di stupore.

“Questa l’ho trovata la scorsa estate…in Normandia…se la metti vicino all’orecchio puoi ascoltare il rumore del mare…”.

 

Sì…anche se lontano…anche se disperso nella coltre bianca di neve che ricopriva la campagna intorno alla casa, Oscar l’aveva sentito il mare, come se ce l’avesse avuto lì a pochi passi, così da poterci mettere i piedi dentro oppure correre via per non farsi bagnare.

 

“Era sulla spiaggia…volevo fartela vedere subito…ma io…io ho pensato di dartela per il tuo compleanno…”.

Oscar si era ammutolita.

“Lo so non sono regali belli…” – s’era schermito André.

 

Che però non era riuscito a terminare la frase. 

Oscar s’era voltata e l’aveva abbracciato, affondando il viso sulla spalla del bambino.

“Mi piacciono molto invece…” – aveva tremato la voce, un poco perché incombente c’era un dubbio che adesso si faceva strada nella mente di lei.

“Ma non posso tenerli qui…forse la conchiglia sì…ma sono certa che se mio padre trovasse la trottola non me la lascerebbe tenere…”.

 

André era rimasto assorto a quelle parole. 

Non ci aveva pensato. Involontariamente il suo gesto non aveva fatto altro che rimarcare l’assoluta ottusità e severità del padre di Oscar.

Il bambino non si era perso d’animo.

“Potremmo nasconderli”.

 

Oscar era tornata a guardarlo poi di colpo si era alzata, correndo a rovistare nello scrittoio, tornandosene poi, quasi cadendo, vicino ad André.

“Guarda…” – gli aveva detto porgendogli una scatola di legno scuro piuttosto piatta.

“Sì…la trottola ci sta”.

“E ci metterò anche questo!” – aveva continuato lei facendoci cadere dentro un piccolo coltello con il manico rosso.

“Oh…è bello…”.

“Me l’ha regalato mio padre…ma io voglio metterlo insieme alla trottola…così sono sicura che nessuno me li potrà portare via”.

“E dove metterai la scatola?”.

“In giardino…faremo una buca in giardino sotto la quercia vicino all’aiuola delle rose bianche…mio padre mi ha detto che il legno di questa scatola viene da molto lontano ed è molto resistente…quindi non gli accadrà niente. La scatola è piccola, nessuno la troverà. E quando vorrò potrò dissotterrarla e riprendere la trottola e il coltello”.

“Allora va bene! Domani ti aiuterò io. Questo sarà…”.

“Il mio tesoro!” – aveva concluso Oscar al settimo cielo - “Il nostro tesoro…il vento in una scatola…e il mare qui…”.

Si era appoggiata di nuovo la conchiglia all’orecchio ed era rimasta ad ascoltare quel rumore lontano, chiudendo gli occhi, mentre Andrè si alzava e così come era arrivato se ne andava silenzioso.

 

Il ricordo di quel lontano Natale riemerse nella mente, assurdamente, lì…

Oscar era fuori di sé e non riuscì a ricambiare l’impeto della bambina limitandosi ad osservare il viso di Mimose, sereno, sollevato. 

 

Tentò di mantenersi calma ma non riuscì a cedere e dovette indietreggiare di nuovo lasciando la mano della piccolae quasi finendo contro la parete, come schiacciata da una specie di mano invisibile che altro non era che l’immagine di colui che avanzava verso di lei, tenendo per mano Diane.

 

“Mimose è riuscita a realizzarlo in poco tempo…” – disse la giovane poco dietro Mimose – “Da quando abbiamo lasciato Parigi sia io che lei prendiamo lezione di lettura e di scrittura tutti i giorni e lei ha persino imparato a ricamare…”.

Oscar rimase immobile, come pietrificata.

 

“Bene…mademoiselle…finalmente ci siamo tutti” – esordì Stevenov accostandosi a lei – “Avete già conosciuto il confessore del Principe Jurovskj…Arian…Tichinov…”.

Le parole scandite riuscirono a penetrare nella mente una alla volta come piccole stille di metallo che graffiavano la coscienza e la lasciavano inerme e dolente a sanguinare senza possibilità di fermare il sangue.

 

Oscar tentò di mantenersi salda, di non cedere alla follia di quel momento…

“Mio padre…” – proseguì il russo.

 

Un´altra pausa e l’uomo continuò ad osservarla quasi ad essere sicuro che lei comprendesse appieno il significato di quanto stava accadendo.

E forse, ancora una volta per godere di quella specie di assalto continuato, insinuato nella vita di lei, a scalfire le sue certezze, le sue risolute sicurezze.

 

“E questo invece è Dorian Vassiliev…anche lui immagino l’abbiate già conosciuto…”.

Stevenov si accostò ad Oscar, immobilizzata quasi contro la parete, gli occhi fissi sul giovane che era entrato nella stanza e adesso, sotto la luce debole delle candele, appariva visibile, rivelando lineamenti fini, pelle chiara, sguardo azzurro e freddo, quasi di ghiaccio, un sorriso tagliente.

Al contrario degli altri si prodigò in un lieve inchino, in segno di rispetto.

I

l viso di Stevenov fu quasi su quello di Oscar, incapace di scostarsi e di arretrare e di reagire.

“Mio fratello Dorian Vassiliev…”.

“Vostro…fratello…” – mormorò Oscar.

“Sì…immagino non sia necessario a questo punto spiegarvi ogni particolare di questa faccenda. E immagino che adesso comprenderete perché abbiamo preferito lasciare Parigi prima del corteo del principe…”.

 

Oscar riuscì allora a sollevare lo sguardo sul colonnello.

“E prima dell’esecuzione…”.

Lei lo guardava ma in realtà pareva quasi aver perduto il senso del tempo, dell’orientamento, persino del respiro stesso.

“E comprenderete adesso perché ho certezza di quanto vi ho raccontato. Mio fratello è eccellente osservatore e conoscitore dell’animo umano…”.

 

Oscar si sentì scoperta, precipitata già, in un baratro d’assoluta incapacità.

Dorian Vassiliev…

Era stata accanto a lui senza nemmeno accorgersene…

 

La notte in cui aveva ricevuto l’incarico da Bouillé di sorvegliare il demone…

Il giorno in cui alla Basse Gêole si era ritrovata a parlare con André.

E poi…

Dio…

 

Com’era possibile che fosse davvero quell’uomo a Saint Sulpice e poi alla Barrie d’Enfer?

Era Dorian Vassiliev che l’aveva vista assieme ad André. 

Era lui quindi che aveva compreso chi fosse lei e cosa accadesse tra lei e…

 

“Ogni cosa a suo tempo…” – concluse il russo.

Stevenov afferrò la mano di Oscar. Era gelata e la strinse tirandosela dietro ed invitando tutti a sedersi.

Lei percepiva appena i suoni, intorno a sé, mentre la mente correva adesso a ritroso, come in preda alla pazzia di tutti quei pungenti e ripetuti ed inascoltati eventi che aveva lasciato correre sulla pelle, sfuggiti alle maglie distrutte di un istinto corroso e deviato dai sentimenti e dall’affetto e dal senso di abbandono da cui lei si era lasciata inondare quando aveva ceduto al ricordo di André, alle sue parole, al bacio che lui le aveva strappato.

E allora aveva chiesto con tutta se stessa, a se stessa, di cedere e non combattere più e recuperare almeno quel barlume di sé stessa che lei ascoltava dentro di lui.

E così aveva perso la propria fermezza, l’acume che l’aveva sempre guidata, anche nel dubbio di non sapere nulla…

Oscar si sentì perduta, debole, incerta, infuriata.

 

“Mio padre ci ha raggiunto per officiare la messa, questa sera” - continuò Stevenov di seguito come a ribadire un percorso già pianificato e noto a tutti i presenti – “E tra pochi giorni partiremo…”.

Nessun altro intervenne a confutare quelle parole.

Diane e Mimose non ne comprendevano appieno il significato.

 

Oscar invece si rese conto di non poter contestare nulla, prigioniera dello sguardo del colonnello, di quello del padre, seppure l’uomo pareva immerso in un mondo a sé, lontano dalla conversazione dei presenti.

E infine di quello di Dorian Vassiliev che adesso la osservava, quasi studiando ogni piccolo mutamento dello sguardo di lei, allo scorrere inevitabile delle parole di Stevenov.

 

“Risaliremo la Loira fino al mare…e poi c’imbarcheremo…” – concluse il russo fissandola, come a voler scorgere e catturare e godere dell’ennesimo affondo teso a demolire qualsiasi velleità di Oscar di poter lasciare il castello e soprattutto quella compagnia.

 

Fino al mare…

C’imbarcheremo…

Il vento e il mare…

Il tesoro nascosto sotto l’aiuola di rose bianche…

 

Oscar s’immerse in quel ricordo, trascinata giù dalla febbre e dalla rabbia di non aver compreso in tempo il legame sordito che teneva unite quelle persone.

Non riuscì a tener testa, in quel momento, agli affondi dei due fratelli ed a quelli ancora più tetri e dubbi che parevano diffondersi dal silezioso respiro del padre, il prelato Tichinov.

 

E nemmeno si avvide dello sguardo ansioso e sorpreso della piccola Diane.

Come una farfalla che si dibatte per guadagnare il proprio spazio di vita e di felicità e di aria…

Improvvisamente, nello stesso istante in cui crede d’esserci riuscita e si libra nella corrente d’aria calda e leggera, in quello stesso istante si ritrova sospinta in basso, di nuovo, giù in basso, schiacciata da una folata di vento freddo.

 

Diane ad occhi bassi, ascoltava la conversazione a senso unico dei russi.

La giovane intuì, seppure nella profondità incosciente della propria coscienza, d’essere finita in una evanescente ragnatela, dissolta nello sguardo severo ed ansioso e lucido di quello che per lei era divenuto il suo fidanzato, il suo uomo, il suo futuro, il suo riscatto dalla povertà, dalla miseria e dall’emarginazione in cui era vissuta fino a quel momento.

 

Apparentemente inosservata, la giovane prese ad osservare lo sguardo dell’altro, compiaciuto e silenzioso ed assorto ad ammirare colei che era seduta di fronte a loro.

Quello sguardo raccontava, almeno agli occhi di Diane, di un desidero assoluto e senza scampo.

 

La dedizione crescente per Dorian condusse Diane inevitabilmente a confrontare ogni sguardo dell’uomo con quegli stessi tessuti poco tempo prima su di lei.

Solo per lei, si era detta Diane.

 

Attraverso di essi s’era lasciata guidare verso meandri oscuri e languidi, dove lei aveva conosciuto se stessa, piano dapprima, dolcemente, come ammessa in un mondo sconosciuto fatto dei suoi stessi muscoli, del suo stesso respiro, racchiuso e liberato, mentre i muscoli vibravano e si sollevavano a godere dell’intenso ed impercettibile orgasmo.

Ora quegli stessi sguardi erano rivolti ad un’altra persona.

 

Diane non poteva saperlo...

Nelle settimane precedenti, il giovane era riuscito a sfiorare quella donna, prima nella cella della Basse – Gêole, poi lassù sulle guglie di Notre Dame, e ancora nell’oscura navata di Saint Sulpice ed alla Barrier d’Enfer, quando l’aveva avuta vicinissima e non era riuscito a restarle lontano e avrebbe voluto averla subito, come adesso Diane poteva leggere, con terrore, nello sguardo dell’altro.

 

In quello stesso istante Diane si rese conto di non essere più nulla agli occhi di Dorian e di essere stata sostituita, in un battito d’ali.

Non erano certezze…

Solo sensazioni, nell’inconsapevolezza di ciò che Dorian avrebbe voluto fare.

Di ciò che Dorian le avrebbe chiesto.

 

Perché, sì, adesso comprendeva il senso delle parole di lui, raccontate nel tiepido tepore di un orgasmo rubato alle nebbie di Parigi…

 

Nessuno fa niente per nulla…

Mademoiselle l’aveva aiutata…

Ora lei avrebbe ricambiato quel bene.

 

 

 

Diane strinse la stoffa del vestito, torcendo il ricamo, mentre il respiro si chiudeva ed il cuore balzava nel petto, in un indistinto battito di perdita e di resa…

Sollevò lo sguardo.

 

Il giovane che aveva conquistato il cuore della piccola Diane era amante tanto intenso quanto volubile.

Nemmeno Diane sapeva perché Dorian si fosse avvicinato ad una ragazza come lei, figlia dei bassifondi di Parigi.

Una giovane senza cultura, senza grazia e senza nobiltà di gesti e d’intenti.

Il senso della conquista albergava assoluto dentro di lui.

 

Folli si dipanarono i pensieri e le conclusioni…

Non avrebbe mai potuto competere con mademoiselle… 

Eppure, quel mutamento repentino che lei aveva colto, nelle viscere prima che nel cuore, nella carne prima che nell’anima, intrise dell’odore del suo amante e dei suoi gesti, e degli affondi che lui le aveva concesso, cogliendo la sua virtù ed annientando le sue difese, non riuscì a lasciarla rassegnata.

Diane non avrebbe potuto combattere contro Oscar, ma pur di non rinnegare il suo amore per Dorian, quell’amore che lei voleva per sé, anche se non assoluto, e pur di non cedere ad un sentimento per lei tanto aberrante come la gelosia, dentro di sé, istintivamente si disse che avrebbe fatto qualunque cosa per lui.

Qualunque cosa.

 

Diane tornò ad osservare mademoiselle…

Rimase su di lei cullandosi alla sua visione…

Sottile e disarmante si animò dentro la giovane l’istintiva attrazione verso lei, quasi che avvicinandosi a lei, Diane avrebbe potuto condividere i desideri del proprio amante…

Amare lei per amare Dorian ed essere amata da lui.

 

Il piccolo fazzoletto girò e rigirò nelle mani, per tutta la sera…

Gli sguardi non insistevano su di lei, ma Oscar li sentiva, mentre gli occhi socchiusi ascoltavano lo scorrere freddo degli aliti gelati della grande sala.

L’aria sgusciava beffarda dai pertugi delle finestre e dei corridoi scuri ed ogni angolo era presidiato a vista da impercettibili presenze.

Lei era libera di andarsene, ma casomai ne avesse davvero avuta l’intenzione, quando anche avesse accettato di rischiare la vita di Mimose e Diane, avrebbe trovato diversi ostacoli.

 

Si alzò, all’improvviso, incapace di mantersi distante dai pensieri, dalla rabbia, dal dubbio di non sapere del proprio destino e di quello di André.

Stevenov si alzò, anche lui.

“Immagino sarete stanca…vi accompagno…”.

 

Lei non rispose di nuovo.

Non aveva senso rifiutarsi.

Sapeva che sarebbe stato solo ridicolo.

 

L’ombra scura del corridoio s’illuminò a tratti al passaggio dei due.

Le armature ai lati riflettevano il barlume della piccola fiamma.

Il pensiero fisso alle poche parole di Stevenov su quel fantomatico viaggio…

Dentro i muscoli lo spasmodico istinto di ribellarsi al progetto che le veniva imposto, in ragione di oscuri intenti, che per lei, arrivati a quel punto, erano del tutto irrilevanti.

Non voleva cedere…

Non avrebbe ceduto mai.

Doveva sapere con chi aveva a che fare a questo punto…

E perché proprio lei…

E se dietro a quella storia c’era qualcun altro…

Dio, se così fosse stato…

 

“Come ha fatto?”.

Il suono della voce si perse assieme al respiro.

Oscar attese alcuni istanti.

Stevenov era fermo dietro di lei.

 

Percepì la mano dell’altro appoggiarsi sulla spalla.

Nemmeno il tempo di scostarle i capelli, le dita sfiorarono il collo…

Lei si scansò voltandosi.

“Come ha fatto? Come c’è riuscito?”.

 

Sottinteso di chi stessero parlando…

Meno chi fosse stato il complice di quella messinscena.

Vassiliev, o il demone di Avignone, o chi diavolo fosse quello…

Non poteva aver fatto tutto da solo.

Girare indisturbato per Parigi, incontrare Diane, fuggire…

Lei lo sapeva che la Basse – Gêole era soltanto uno stramaledetto obitorio ma…

 

Stevenov sorrise, mentre la luce riverberava liscia attraverso le iridi violacee.

“Non è stato difficile…”.

 

Oscar si fece contro di lui.

Non le bastava…

“I vostri superiori mi avevano concesso la possibilità di visitare i posti di polizia. Il lasciapassare mi ha permesso di entrare ed uscire indisturbato…anche dalla Basse – Gêole. In conclusione è stato così che me ne sono andato indisturbato per Parigi e poi consentire a…”.

“Loro sapevano?” – sibilò Oscar sconvolta.

“Il Maggiore Girodel…” – accennò Stevenov.

 

Oscar sgranò gli occhi

L’altro rimase su di lei…

“Nessuno mi aveva detto nulla di voi. E’ bastato che Dorian ascoltasse in religioso silenzio le conversazioni tra il Generale Bouillé ed i suoi sottoposti…”.

“Il Maggiore Girodel sapeva di voi?” – chiese di nuovo Oscar.

 

Il dubbio che anche lui fosse al corrente…

Il dubbio che lui l’avesse usata, nient’altro che per avere lei…

“Se è questo che vi preoccupa posso dirvi che…no…non temete…del loro…”.

Rise Stevenov.

“Sì…del loro piano nei vostri confronti…ne sono venuto a conoscenza solo in un secondo momento. Il Generale Bouillé era convinto che sarebbe stato facile farvi scivolare nell’errore. Si è dovuto ricredere…e quando ha deciso di giustiziare il demone prima del tempo io non ho fatto altro che entrare e liberarlo. Non è stato difficile. Ormai ero persona nota e tutti si fidavano di me. Presumo comunque che l’intento dei vostri superiori fosse solo quello di indurvi a lasciare il comando della Guardia Metropolitana. Di certo…l’affetto che il maggiore provava per voi non gli avrebbe mai consentito di permettere che qualcuno vi torcesse un capello. E penso sia stato per quello che lui ha sparato al vostro soldato. Devo ammettere che la cosa stava sfuggendo di mano anche a me! Sapevo che i vostri soldati non vi erano troppo fedeli ma…”.

 

Di nuovo quella storia.

“Voi eravate a Place Dauphine!”.

“A distanza…certo…ma ho visto tutto. Direi poco edificante per un ufficiale farsi piantare un coltello addosso…mentre il vostro soldato vi puntava addirittura una pistola…”.

 

Le tempie battevano furiose, febbrili…

Il lampo della polvere da sparo…

Non aveva visto nulla di tutto ciò.

Si era sentita trafitta però…

Dio, André…

 

“Non credete sia stato lui? Dorian mi ha confidato cosa vi legava…”.

Oscar indietreggiò.

“Per assurdo…è proprio un simile legame che può condurre a compiere gesti insensati e folli…”.

 

Il cuore si perse…

Il cuore combatteva.

“Dannazione…perché? Perché io? Che diavolo volete da me?”.

“La vostra integrità…”.

 

La risposta secca colpì i sensi.

“La mia…cosa?”.

“La vostra integrità…è quella che mi ha attirato fin da subito. Un eccellente esempio di devozione agli ordini dei superiori. Una mente raffinata ma incapace di cedere alla lusinga del denaro, dei favori e del piacere. Temo sia effettivamente per questo che quell’uomo vi volesse per sé…non l’avrei biasimato nemmeno io…”.

 

Le dita sfiorarono il viso di nuovo.

Oscar si ritrasse.

“Talmente integra d’apparire dannatamente arrogante!”.

 

Il viso si contrasse.

“Una bella sfida davvero…”.

“Perché? Ve lo chiedo un’altra volta. Mimose ha detto che gliel’avevate promesso…vostro padre ha parlato di…dannazione…di attesa! Avevate già intenzione di portarmi a Chambord? Perché?”.

“Non è circostanza che vi debba riguardare…ve l’ho detto. A Parigi vi avrebbero fatto fuori prima o poi e a parer mio sarebbe stato un vero spreco di bellezza e di forza. Riposate mademoiselle…e rammentate cosa vi ho detto a proposito di Diane e Mimose. Saranno loro a stare accanto a voi e se voi tenterete di lasciarci...”.

***

Il grido roco, soffocato si liberò dalla gola, sprigionato dalla carne intessuta di morbida resa, ad accogliere umida ed aperta l’affondo, l’ennesimo, ritmato e secco…

Il fascio di membra tese, i capelli chiari e lucenti sparsi e bagnati sul seno, le mani chiuse a trattenere i muscoli anch’essi sudati e bollenti, intrisi di gesti di abbandono e di sfida e di arrendevole cessione di ogni lembo di pelle alla bocca, alla lingua, all’insolente ed incessante avanzare delle spinte ripetute e pungenti che colpivano i sensi e li sollevavano…

 

Diane si arrese scivolando quasi fuori, lontano da sé, per percepire soltanto il lento incedere dell’amante che continuava a solcare la pelle, le labbra a chiudersi là dove il respiro cedeva…

 

La bocca si schiuse per gremire un affondo che attenuasse l’attesa e la colmasse.

I denti si chiusero sulla carne piano, per averlo, per avere lui, per sé, per lenire e sentire e sentirlo e per finirci dentro alle spinte che s’allargavano e l’ingoiavano…

 

“Brava bambina…”.

La voce voluttuosa di generosi riconoscimenti alla giovane che s’era lasciata prendere e poi si era mossa, con essenziale rapidità a cogliere i desideri più oscuri dell’amante.

Le mani di lui un poco chiuse sul collo, a scivolare e stringere un poco la gola ansante e bagnata…

 

“Sei diventata brava piccola Diane…” – continuò il giovane.

 

Diane non rispose, un sussulto lieve, le gambe chiuse sul corpo del giovane su di lei…

Diane corse alla pungente ricerca dell’intenso incedere del subitaneo amplesso che l’avrebbe scossa e lasciata senza respiro, eppure incerta sul proprio destino, ora che la consapevolezza di un nuovo desiderio pareva animarsi spietata nello sguardo dell’altro.

 

“Sono vostra…” – fremette piano lei, seppure sentì le lacrime salire dalla gola, come mai era accaduto da quando aveva conosciuto Dorian Vassiliev.

Il respiro del giovane si dissolse nel suo, colmando il desiderio e l’istinto…

Dentro di lei, affondando, fino a prendersi la voce, il timbro soffocato, laggiù nel profondo, dove lei scivolava giù, cadeva abbandonandosi al nulla.

 

Rimase su di lei, per un poco.

Poi le prese il viso con la mano destra.

Lo voltò, con delicatezza. Non aveva bisogno di usare forza od insistere troppo per catturare l’attenzione dell’altra. 

Lui si era già impadronito dell’anima e del destino di Diane.

E lei non avrebbe più potuto rifiutargli nulla…

 

Tagliente giunse la richiesta allora e subdola e pesante si appoggiò sul cuore di Diane e chiuse la gola, consentendole solo di annuire, con la testa e stringere il lenzuolo, mentre sentiva il proprio corpo sollevato, come quello di una bambola inerme e senza vita…

Il petto schiacciato contro il cuscino, il viso rivolto giù…

Diane ascoltava le spinte penetrare nella carne viva e contratta, incapace di accogliere ciò che lei non percepiva più come amore.

 

“Diventerai per lei ciò che io sono diventato per te…”.

L’affondo respirato nel corpo contratto si espanse doloroso.

 

“Ora sei in grado di farlo…bambina…non devi avere alcun timore…”.

La carne gremita, ogni affondo presagiva l’orgasmo, nitido, come lo era la richiesta, lucida e dannata.

Il desiderio s’era rivolto altrove…

 

“Ricordi cosa ti dissi quando eravamo a Parigi?”.

Diane respirava piano.

Ricordava quel giorno…

La risposta alla sua costante domanda.

Perché qualcuno le aveva fatto del bene, l’aveva accolta ed aiutata…

Lei che non era nessuno.

 

“Io stesso mi stupii della generosità di mademoiselle…”.

“Mademoiselle mi vuole bene?”.

“Quella donna ti ha aiutato. Tiene a te e penso sia giusto che anche tu ricambi questo affetto…”.

 

Diane strinse i pugni. Fingeva di non capire anche se sapeva bene cioò che intendeva il giovane.

“Nessuno fa niente per nulla…”.

 “Volete dire che io…”.

“Renderla libera di essere ciò che vuole…ecco ciò che dovresti fare per lei. Mostrarle la tua riconoscenza abbattendo la sua… “integrità”…sì proprio quella. Anche lei in fondo come tutti ha un desiderio…”.

“Sì…credo di averlo compreso”.

“Te l’ho detto che sei diventata brava…e vediamo…sapresti anche dirmi chi è?”.

“Io…mademoiselle non mi ha mai detto nulla. Eppure…un giorno mi guardò…i suoi occhi erano freddi…mi fece paura. Ero corsa da lei assieme…”.

“Assieme?”.

“André…”.

 

Le mani del giovane si contrassero, colpite dalle sensazioni, forse solo intuite, che gli avevano riportato una realtà esaltante seppure sconosciuta. 

E che gli avevano consentito di individuare un punto debole…

 

“Quell’uomo…giusto. Anch’io credo che lei provi…sì…affetto…”.

Vassiliev si fece sul corpo dell’altra, scrutandone lo sguardo.

“Affetto sì!”.

“Ma perché io?” – chiese Diane.

“Perché tu sei stata molto vicino a quell’uomo…ne hai assaggiato il calore…e perché mademoiselle di te si fida e non immaginerebbe mai di saperti capace di offrirle ciò che lei ha cercato di avere. Potrà farlo attraverso di te…”.

“Ne siete sicuro, mademoiselle non ha mai chiesto nulla. Mi ha aiutato e basta…”.

“Certo…il bene puro è quello che non chiede nulla in cambio. Ma il tuo bene è ancora più puro perché è spontaneo e libero adesso…e se lei lo comprenderà…farai come ti ho insegnato io?”.

“Sì…”.

“Assaggerà ciò che lei desidera…tu sarai il tramite che le restituirà il suo stesso desiderio…”.

 

 

     


                     





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