FanFiction Lady Oscar | Paris di anna_1755 | FanFiction Zone

 

  Paris

         

 

  

  

  

  

Paris   (Letta 828 volte)

di anna_1755 

21 capitoli (in corso) - 0 commenti - 2 seguaci - Vietata ai minori di 16 anni

    

 

Sezione:

Anime e MangaLady Oscar

Genere:

Storico - Romantico - Drammatico - Giallo

Annotazioni:

What If

Protagonisti:

Oscar François de Jarjayes - Andre' Grandier

Coppie:

Oscar François de Jarjayes/Andre' Grandier (Tipo di coppia «Generic»)

 

 

              

  


  

 Saint Antoine 

 


  

Saint Antoine

Le mani di Oscar tremavano.

André se ne avvide, mentre lei, poco fuori dalla Basse - Gêole tentava di respirare piano, ma pareva che l’aria non ne volesse sapere di entrare nella gola e permetterle di reggersi in piedi…

Rimase su di lei.

In silenzio…

 

Oscar osservò le persone che camminavano lungo le stradine attorno allo Chȃtelet.

Tutte indaffarate, chiuse in se stesse, sicuramente intente a comprendere come e dove guadagnare quello che serviva per sfamarsi e scaldarsi e così sopravvivere.

Lei non aveva mai provato nulla del genere…

Non aveva mai dovuto combattere per nulla del genere.

Non aveva mai dovuto combattere…

 

Se l’era immaginata Paris, ma non così, non così atrocemente incapace di accudire la gente che ci viveva e che ci moriva.

Si disse che lei non sapeva…

No…

Era impossibile non sapere.

 

Si rammentò del secondo dispaccio consegnatole da Dagoult.

Estrasse il foglietto dall’uniforme e lo lesse con gli occhi…

Un’altra esistenza che aveva lambito la sua e la loro.

 

“Lasalle Gerard…” – disse Oscar piano appoggiandosi al muro e richiudendo il biglietto - “Il Soldato Lasalle è stato definitivamente scagionato…”.

 

La storia dei fucili e delle uniformi e degli stivali e forse persino della polvere da sparo svenduti al mercato nero dagli stessi Soldati della Guardia per raggranellare qualche soldo in più aveva rivelato un mondo sotterraneo e dolente, incomprensibile ed irrilevante per Bouillé e gli altri ufficiali, che aveva portato all’arresto di Lasalle Gerard, forse meno accorto degli altri e scoperto ed arrestato.

 

Lasalle sarebbe finito alla forca e il dubbio che fosse stata proprio lei, il nuovo comandante, a tradire il proprio soldato era apparso agli occhi degli altri come un’onta da lavare con il sangue…

Il suo.

Inammissibile che un comandante vendesse i propri uomini chissà se per far carriera o mostrarsi ai superiori come degna del più irreprensibile status di comando.

 

La folla procedeva ondeggiando immersa nel silenzioso chiacchiericcio del giorno che scivolava via.

Oscar si colmò in quella visione assolutamente neutra e piena, forse pensando di scorgere tra le pieghe di quella dolente danza un tratto, un gesto, un volto che le riportasse tra le dita l’esistenza fugace di Mimose, inghiottita e perduta chissà dove.

 

Nulla era tornato della bambina. Né un vestito, né una scarpa, né un ricordo, magari impresso nella mente di qualcuno…

Nulla…

 

Come fosse di pietra…

Pietra fedele a se stessa ed alla propria solidità…

“Il Generale Bouillè…devo andare a ringraziarlo. Nonostante tutto questa alla fine è opera sua…” – mormorò Oscar tornando verso André.

L’osservò, quasi con insistenza, e lui che in un primo momento non aveva voluto distogliere lo sguardo, fu costretto a farlo e a dirigere gli occhi altrove.

 

L’insistenza di Oscar gli giungeva ora più nitida nella sua temperata risolutezza, ma portava con sé inevitabile la domanda di comprenderne il motivo, che poteva benissimo collocarsi nell’estrema durezza della vita che piano piano le si stava rovesciando addosso, profondamente differente dall’esistenza tutto sommato lucida e banale vissuta a Versailles.

Il dubbio di un peso troppo grande da sopportare da sola…

 

“Quell’uomo possiede uno smisurato senso dell’onore!” – chiosò André tentando di celare la sua innata avversione verso l’ufficiale – “Se ha deciso d’intercedere per Gerard deve essere stato per una buona ragione. Qualsiasi essa sia conviene riconoscergli il merito!”.

 

In seguito al buon lavoro fatto dalla Compagnia B dei Soldati della Guardia per proteggere il Duca spagnolo Ardelos e la sua famiglia durante la visita in Francia, Oscar aveva fatto pressione sul Generale Bouillè perché fosse concesso un atto di clemenza e il soldato e venisse graziato.

Nemmeno André era convinto che la benevolenza verso il compagno fosse frutto esclusivo dell’intento di accontentare la richiesta del Comandante dei Soldati della Guardia, quanto forse quello di tenersi buoni i soldatacci che avevano il gravoso compito di pattugliare le strade di Parigi.

Scontentarli sarebbe equivalso a rischiare di averli contro e non era il caso di aggiungere anche quella bega alle altre che affliggevano l’esistenza viscosa del Generale Bouilé.

 

Il mormorio dei parigini indaffarati a sbarcare il lunario…

Le campane di qualche chiesa vicina davano i rintocchi della giornata che volgeva al termine.

“Credo sia stato solo perché il generale crede ci siano modi migliori per…per farmi fuori!” – sentenziò Oscar volgendo lo sguardo verso la folla e sorridendo amaramente – “Come avrai intuito l’ordine a Parigi è sempre stata uno dei puntigli di Bouillé…sarebbe stato facile per lui approfittare della situazione e chiedermi di lasciare il comando in cambio della vita di Lasalle…”.

 

André, ora fu lui a tornare con lo sguardo verso Oscar.

Nessuno dei due alla fine era davvero padrone della propria esistenza…

“Ma…come ti ho detto…forse ha altre ragioni per non avermi chiesto di fare un tale passo…” – concluse Oscar.

 

L’intuizione deponeva come sempre per la salvaguardia dell’onore della famiglia Jarjayes. Boullé era sempre stato molto vicino al Generale Jarjayes e di certo avrebbe fatto in modo che l’allontanamento dal comando della figlia non dovesse avvenire per un motivo disonorevole.

 

Un moto di rabbia da colmare istintivamente…

Il desiderio di nascondere anche a se stessa ciò che pulsava nelle viscere.

“Verrai tu…in rappresentanza di tutti i soldati…” – disse lei senza guardare André questa volta.

 

André la fissò senza comprendere.

Quell’insistenza, quella di Oscar nei suoi confronti, gli stava diventando sempre più incomprensibile.

 

“A Place Roiale*…prima devo tornare all’Entrague e poi andremo a Place Roiale…” – continuò Oscar infilandosi i guanti.

“Come? Dobbiamo andare là? Non mi sembra che il generale abiti da quelle parti”.

“Hai ragione André. Lui ormai preferisce restare nella sua residenza di Limours per paura dei disordini di Parigi ma so che questa sera sarebbe andato ad assistere ad una rappresentazione. L’apertura del processo è stata rinviata e per il momento pare che la gente di Parigi abbia deciso di rimandare l’assalto a qualche dimora nobiliare come sta accadendo ultimamente…forse la fame non è ancora riuscita a smuovere le coscienze…” – chiosò Oscar sarcasticamente.

“Oh…di giorno manda a morte i soldati che si vendono i fucili e di sera va all’opera…” – replicò André con un sospiro – “Ognuno si lava la coscienza come può!”.

 

Quella giornata scivolò via silenziosa e cupa, quasi sospesa, mentre la città di Parigi si preparava ad affrontare un’altra notte, scura e tesa, come ormai accadeva spesso.

Alain aveva chiuso l’ultima mano di carte ed era tornato a stendersi stancamente nel letto.

Il suo turno di guardia sarebbe iniziato a breve…

La sua mente era incessantemente rivolta a Diane e poi alle parole di Vincent Sabin…

La morte dei suoi compagni aleggiava tra i superstiti.

 

Ora la guarnigione si era ridotta e i turni erano divenuti necessariamente più lunghi e faticosi.

Anche quella era una delle conseguenze dei fatti del Louvre: una delle tante nella marea di drammi, grandi e piccoli.

Famiglie disperate, sole…

Soldati esasperati, stanchi e scontenti…

Anche Alain iniziava a scontare la stanchezza di quella vita intensa e senza scampo che di fatto gl’impediva di correre da Laure e – cosa ancora peggiore – persino da Diane.

 

Quando aveva trovato il tempo di recarsi dai Livrer, gli era stato detto che lei era già uscita.

Non era sola, aveva appreso Alain, ma nessuno era stato in grado di dire chi fosse colui che accompagnava la giovane quella sera.

La coscienza si era adagiata sulla ragionevole conclusione che André…

Lui fosse con Diane.

 

La coscienza non si era stranamente placata a quella visione, combattuta da altro dubbio, quello che gli ronzava in testa da giorni ormai e che continuava ad imporgli di farla finita con quella storia e di affrontare André e comprendere che dannazione ci fosse tra lui e quella donna…

Così il soldato s’era ritagliato il tempo di una partita a carte impossibile da vincere perché nella testa c’erano solo l’immagine di Diane e le parole di Vincent Sabin…

 

L’assurdo si manifestò appieno quando Alain si alzò e non vedendo André chiese ai compagni se sapevano dove fosse.

Quasi gli si fermò il respiro in gola quando apprese che André era andato via poco prima e che si sarebbe recato assieme al comandante al teatro di Place Roiale, in Fabourg Saint Antoine, perché lei doveva conferire non si sapeva bene con quale generale.

 

“Per la storia di Lasalle…” – aveva sentenziato Romanov sputando a terra imbestialito per aver perso un’altra mano a carte.

Alain pensò che sarebbe sprofondato lì…

 

“Allora chi diavolo c’è con Diane?” – si chiese muovendo appena le labbra, trafitto dalla sua stessa domanda, mentre la coscienza cedeva ad una serie di dubbi vorticosi. 

Non aveva più ricevuto biglietti da quando quella mocciosa era scomparsa.

Ma Diane continuava a lavorare per i Livrer…

 

André non era con Diane.

Era con il comandante…

Che stava succedendo?

 

Alain strinse il fucile e si avviò a Place du Notre Dame. 

La sua postazione di guardia per quella notte…

Assieme ad altri compagni e nella mente l’attesa spasmodica che quelle ore passassero in fretta… 

 

Non poteva permettersi di abbandonare la sua postazione di guardia, perché un tale gesto d’insubordinazione, l’ennesimo, questa volta gli sarebbe costato caro.

Ci avrebbe rimesso non solo la paga ma anche il posto…

 

Dovevano passare quelle ore e poi lui sarebbe tornato a casa e prima si sarebbe accertato se Diane stesse bene e poi, dannazione, non avrebbe sentito ragioni e le avrebbe imposto di dirle tutto, e chi diavolo aveva conosciuto e se era vero che c’era qualcuno che s’interessava a lei…

L’avrebbe costretta a lasciare la casa dei Livrer se fosse stato necessario e al diavolo anche quella maledetta paga buona solo per gettare nel fango sua sorella. 

Era troppo piccola Diane, troppo ingenua per difendersi da sola…

E lui aveva sbagliato tutto.

André non l’avrebbe mai protetta, non si sarebbe mai preso cura di lei.

***

“Siete stanca?”.

“No…monsieur…”.

“Ve l’ho detto il mio nome…preferite chiamarmi ancora così?” – chiese il giovane mantenendo le dita della mano appoggiate alla pelle liscia ed accaldata del collo.

Esse scorrevano piano come ad assaggiare la consistenza del respiro sottile e rapido, indotto e trattenuto…

E poi ripiegavano sul petto.

 

Diane voltò lo sguardo incapace di reggere quello dell’altro.

“Per me siete sempre monsieur…” – mormorò piano, il respiro affannato, le guance arrossate, le vesti leggermente allentate, mentre le dita di “monsieur” scivolavano sapienti attraverso la stoffa ruvida e profumata della camicia.

Non replicò monsieur ma si spinse ancora oltre, chiudendo i fianchi raggiunti in una presa più forte che solleticò la pelle e fece correre un brivido, mentre le mani grandi riuscivano quasi a raggiungere il seno e ad accarezzarlo, insistenti e curiose.

 

Erano movimenti sapienti perché correvano a sciogliere ogni resistenza per consentire al desiderio di uscire allo scoperto e rivelarsi e scorrere a sua volta attraverso le mani di colei che assaggiava quel nuovo percorso.

Non c’era nulla di forzato, nulla d’imposto.

Non era questo che voleva “monsieur”.

 

Lui voleva Diane e la voleva aperta ed intensa.

Sarebbe stata lei a venire da lui, ad entrare dentro il suo mondo, quello nato tanti anni prima nella desolata steppa della Grande Madre Russia…

E “monsieur” sapeva come colmare ogni spazio, ogni desiderio, ogni richiesta di quell’esistenza incerta e misera, cresciuta nella caotica e terribile Parigi, eppure sorprendentemente pura.

 

Così “monsieur” affinava l’intuito capace di avvicinare le persone.

Entrare nella loro vita in punta di piedi e poi scavare dentro, fin nel profondo, cercando i desideri più nascosti, quelli inconfessabili…

L’onore, la sete di potere o di denaro, la conoscenza, l’amore, la virtù, la spasmodica ricerca della perfezione, della fama, l’esaltazione dei pregi, la lusinga dei difetti…

Le diable…

 

Desideri che diventano la chiave per spalancare definitivamente la porta dell’esistenza altrui...

Non era stato difficile allora intuire che Diane desiderava una vita propria, solo sua, e poi l’amore, come tutte le fanciulle della sua età, e magari la corte raffinata ed elegante di chi sapeva concederle la certezza d’esser lei a scegliere e a prendere ciò che desiderava.

 

Come lei, “monsieur” aveva conosciuto tante giovani donne…

Tutte alla fine si erano recate da lui…

E si erano concesse a lui…

E Diane non faceva eccezione, anche se era sorprendente la sua chiara innocenza e l’affidamento limpido e sincero alle mani e allo sguardo di “monsieur”.

 

Ne mancava una.

“Monsieur” l’aveva incontrata da poco tempo, anche se ne aveva già sentito parlare…

Nel suo paese…

La fama di una personalità così particolare era giunta fin là.

 

E così lui l’aveva cercata, l’aveva trovata, l’aveva percepita, ascoltata e compresa, attraverso l’odore del sangue, minerale e temprato, come dovevano essere l’indole ed il temperamento…

L’aveva seguita, osservata.

L’aveva incontrata più volte…

Le era apparsa così diversa da tutte le altre donne.

 

She is dangerous…- mormorò a voce bassa – Pura…pulcra…

 

La bocca si colmò di un intenso contatto…

Ora c’era Diane accanto a lui e questo bastava e questo era il passo da compiere per raggiungere quella donna, quell’altra…

Nessun bacio languido…

Parole sussurrate per narrare di desideri inascoltati e pieni che Diane avrebbe potuto raggiungere.

Perché Diane non conosceva nulla della vita e di sé.

E “monsieur” doveva istruirla perché lei sapesse chi era realmente e quale intenso piacere potesse raggiungere il corpo acerbo ed inviolato…

E alla fine sarebbe stata lei colma della sua sola volontà di farlo a condurre verso “monsieur” colei che lui voleva veramente.

 

La bocca socchiusa…

E le dita accarezzavano la carne tiepida cercando la vellutata consistenza, insinuandosi ora piano, ora più intensamente, e poi tornando indietro e attendendo e costringendo i muscoli a contrarsi e a chiudersi e poi ad aprirsi perché ogni tocco era temuto ed ambito.

E ogni passaggio strappava un respiro più fondo, e gli occhi desideravano il buio e nessun suono invadeva la mente se non quello delle vibrazioni intense del corpo contratto e teso…

 

Ma la voce di “monsieur”, bassa e suadente, quella e solo quella riusciva a scivolare nelle orecchie…

Parole senza senso, per Diane, lisce come le mani di “monsieur”, insistenti come le dita di “monsieur” che entravano dentro e la costringevano a chiedere di più, senza sapere perché, ma solo che quelle vibrazioni la torturavano piano e lei le voleva, d’istinto, mentre la mente era colma di quei sussurri…

Parole senza senso per lei e per chiunque le avesse ascoltate…

 

* Dies iræ! Dies illa

Solvet sæclum in favilla:

Teste David cum Sibylla!

Quantus tremor est futurus,

Quando iudex est venturus,

Cuncta stricte discussurus!

Tuba mirum spargens sonum

Per sepulchra regionum,

Coget omnes ante thronum.

Mors stupebit, et natura,

Cum resurget creatura,

Iudicanti responsura.

Liber scriptus proferetur,

In quo totum continetur,

Unde mundus iudicetur.

Iudex ergo cum sedebit,

Quidquid latet, apparebit:

Nil inultum remanebit.

Quid sum miser tunc dicturus?

Quem patronum rogaturus,

Cum vix iustus sit securus?

Rex tremendæ maiestatis,

Qui salvandos salvas gratis,

Salva me, fons pietatis.

Recordare, Iesu pie,

Quod sum causa tuæ viæ:

Ne me perdas illa die.

Quærens me, sedisti lassus:

Redemisti Crucem passus:

Tantus labor non sit cassus.

Iuste iudex ultionis,

Donum fac remissionis

Ante diem rationis.

Ingemisco, tamquam reus:

Culpa rubet vultus meus:

Supplicanti parce, Deus.

Qui Mariam absolvisti,

Et latronem exaudisti,

Mihi quoque spem dedisti.

Preces meæ non sunt dignæ:

Sed tu bonus fac benigne,

Ne perenni cremer igne.

Inter oves locum præsta,

Et ab hædis me sequestra,

Statuens in parte dextra.

Confutatis maledictis,

Flammis acribus addictis:

Voca me cum benedictis.

Oro supplex et acclinis,

Cor contritum quasi cinis:

Gere curam mei finis.

 

Ogni suono affondava nella carne, ogni lettera inaspettata si animava nel ventre e correva alla gola, chiudendola e vibrando di nuovo giù fin nelle viscere, fin nei muscoli che iniziavano a tremare intensamente.

Stava accadendo di nuovo e lei lo voleva quell’intenso incedere dentro di lei…

I polsi chiusi lassù, la bocca a chiedere aria, la carne aperta profumata piena bagnata morbidamente trattenuta dentro dita sapientemente affondate fino a togliere il respiro, fino a che quel respiro venne meno…

 

E la bocca venne avvolta e chiusa dalle labbra che intensamente penetravano dentro l’anima, circondandola piano…

E la gola gridò senza emettere un suono…

I muscoli vibrarono contraendosi in uno spasmodico movimento di ricerca estenuante e crudele di avere per sé, solo per sè, quel piacere intenso ed unico, mai provato…

 

E poiché van dicendo: abbiamo lingua gagliarda, sappiam parlare, chi è il nostro padrone? 

Chi è?

Chi è il tuo padrone? 

Chi è il tuo padrone adesso?

 

“Voi…monsieur…voi…”.

Una voce senza respiro, il corpo teso, la mente colma di parole senza senso…

Tutto l’aveva invasa e l’aveva penetrata strappandole quelle poche parole.

 

Ora non c’era più libertà nella sua volontà…

Perché quella volontà ingenua e pura era stata colta e colmata del desiderio inespresso e rivelato e pieno sorto dentro di sé ed esploso colpendola e trascinandola via e lasciandola senza forze, senza respiro, senza pensiero, se non quello che ora lei non era più sola.

 

Aveva scoperto se stessa assieme a quell’essere per lei fulgido che l’accarezzava ancora ed ancora e aveva gli occhi intensamente addosso a lei a cogliere quell’istante di sospensione, quella contrazione che la lasciava inerme e posseduta da lui e da sé stessa…

Aveva scoperto se stessa…

Aveva tremato, da sola, come aveva voluto monsieur, e lei si era affidata a lui e adesso nulla e nessuno avrebbe più potuto intimorirla.

 

“Monsieur…”.

“Dimmi bambina?”.

“Perché restate distante da me?”.

 

Il respiro era lento, la pelle bagnata e fredda…

Le braccia di Dorian si chiusero in un abbraccio intenso allora.

“Perdonami bambina…non è ancora il momento…puoi sapere cosa ti aspetta senza che nessuno violi la tua purezza…questo è solo un accenno di ciò che potrà accadere. Ma è ancora troppo presto…avrò bisogno del tuo aiuto…e della tua virtù…”.

 

Diane tentò di addomesticare il respiro e si acquietò accanto a “monsieur”.

L’aveva seguito quella sera in cui lui si era offerto di riaccompagnarla a casa. 

Una stanza unica, non tanto grande, calda, arredata con sobrietà, le pareti tappezzate con carta rosa a fiorellini, le coperte pulite, il letto sempre rifatto, il camino colmo di legna accesa.

La brocca piena di acqua profumata e tiepida e sul comodino nessun liquore, nessun vino particolare.

Solo acqua, nient’altro che acqua.

 

Diane non aveva detto nulla ad Alain e neppure ad André.

Le piaceva André, davvero.

Ma “monsieur” le aveva detto strane cose…

 

“Vorrei che tu imparassi come si compiace un uomo e…e come un uomo possa compiacere te. Anche tu devi imparare come essere felice e non solo ad essere una donna da trattare a piacimento…”.

“Gli uomini fanno questo dunque?”.

“Alcuni, non tutti. Forse è per questo che tuo fratello vuole proteggerti. Perché tu possa incontrare l’uomo giusto che ti porti rispetto e che tu saprai soddisfare come si conviene. E’ doveroso portare rispetto alle persone che ti vogliono bene ma anche rispettare se stessi. Se imparerai a saper compiacere gli altri e a sapere ciò che compiace te stessa allora potrai essere felice…” – aveva proseguito “monsieur” scostandole un poco i capelli scomposti dal viso.

 

Diane aveva sollevato lo sguardo…

L’azzurro del suo amante era cupo e distante…

“E voi me lo insegnerete?”.

 

“Questo è il mio compito. Te l’ho detto…è così che si fa…non ambisco a tradire la tua fiducia. Ma quando sarà il momento ti chiederò di ricompensarmi e so che sarai in grado di farlo…”.

“Farò come volete voi…”.

“Brava bambina…”.

***

“André…lascia perdere! Quel ramo è troppo alto! Finirai per cadere e romperti l’osso del collo!”.

A naso all’insù Oscar osservava l’amico arrampicarsi con cautela sulla gigantesca quercia scura e nodosa, quasi fosse una scimmia, una di quelle che avevano visto nei libri della biblioteca di casa Jarjayes.

“Non preoccuparti…” – l’aveva tranquillizzata André – “Appena trovo il posto giusto ci metterò il nido e lo incastrerò per bene e poi scenderò…”.

La giacchetta rigonfia e appoggiato dentro un piccolo groviglio di pagliuzze sapientemente intrecciate a racchiudere due ovette biancastre.

 

“Un uovo si è già rotto André. Non credo che la madre tornerà a covare le altre…”.

 André si era fermato in attesa di trovare le parole adatte a replicare all’obiezione più che sensata.

“Io ci voglio provare lo stesso…questo nido troverà il suo posto quassù e poi vedremo quello che succederà…”.

 

L’istante incerto di un gesto azzardato…

Le mani di André avevano colto al volo l’incavo perfetto per adagiare il nido ed ancorarlo in modo che il vento non lo facesse scivolare giù.

Troppi gesti in bilico e quell’istante s’era tramutato in una mancata presa e mille schiocchi di rami spezzati s’erano susseguiti velocemente, mentre lui cadeva giù, bambino capace solo di afferrare all’ultimo un ramo più robusto che gli consentisse di rallentare la corsa.

 

“André!”.

Aveva gridato Oscar mentre negli occhi aveva visto l’amico scivolare, così veloce che aveva pensato sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe rivisto André…

Il suo unico amico…

Lo schianto non era stato poi così terribile, attutito dall’erba e dalla provvidenziale presa che però aveva scorticato per benino i palmi delle mani piccole eppure così forti.

 

“André?”.

Oscar si era chinata su di lui.

Aveva preso a chiamarlo ma lui se ne stava ad occhi chiusi a pancia in su, immobile, non rispondeva.

“Sei morto?” – aveva chiesto piano – “E adesso come faccio?”.

 

Il vento scivolava leggero tra le fronde di quell’estate calda…

Nessun’altra parola o suono…

“Stupido…” – era riuscita solo a dire Oscar mentre era sopra di lui e lo chiamava e lo scuoteva e lui pareva un burattino a cui avevano reciso i fili.

La frangia scompigliata a coprire gli occhi chiusi…

I vestiti un poco strappati e le mani aperte e graffiate…

 

“No…André…ti prego…guardami…”.

Oscar era caduta in ginocchio.

Non sapeva che fare.

Era piccola e André era diventato tutto il suo mondo. 

 

Oscar adesso aveva qualcuno che poteva osservare dritto negli occhi, senza sollevare la testa, o peggio ancora senza mantenerla bassa, gli occhi a terra, in segno di rispetto verso il signor padre.

Qualcuno che la prendeva per mano e la conduceva via e l’abbracciava e la spingeva e la picchiava e le diceva che era una stupida e rubava i biscotti per lei.

 

Ultimo pensiero della giornata e primo pensiero del mattino…

La faccia di André, le sue smorfie, i suoi silenzi, i suoi occhi arrabbiati o tristi, i suoi scherzi…

Che quasi mai riuscivano perché lui alla fine non arrivava veramente a tradirla…

 

Oscar si era ricordata allora di quella volta in cui era caduta da cavallo e suo padre le era corso accanto e le aveva chiesto se aveva male da qualche parte.

Alla testa, al collo, al torace, alle braccia, alle gambe…

No, no, no, no…non mi fa male da nessuna parte…erano state le sue risposte impaurite.

E adesso ripensava a quelle risposte e gli occhi si muovevano veloci per controllare il corpo immobile di André…

 

“André ti prego apri gli occhi…dimmi dove ti fa male?”.

Oscar aveva iniziato a sbottonare la giacchetta sporca di erba e di terra…

Il corpo di Andrè era immobile.

E poi c’erano i lacci della camicia…

E come diavolo avrebbe fatto a capire se lui si era fatto male?

Pensava avrebbe visto del sangue…per lei il male era quello…mica s’immaginava che un osso potesse rompersi però restando al suo posto…

 

Le manine fredde si erano adagiate sulla pancia…aperte…

Come a cercare una conferma che sangue non ce n’era e neppure c’erano ossa rotte…

Uno sghignazzo improvviso e André aveva chiuso le braccia sulla pancia contraendosi…

“Così mi fai il solletico stupida!” – aveva preso a ridere beffardo.

 

Oscar si era ritratta spaventata, impaurita, arrabbiata per quell’assurda presa in giro.

“Allora non sei morto?”.

“Ci hai creduto vero?”.

“Brutto scemo…”.

 

Oscar non era riuscita a dire altro. Le parole gli erano morte in bocca.

Si sarebbe dovuta arrabbiare, com’era sempre accaduto.

Il pensiero di essere stata presa in giro non era però riuscito ad avere la meglio sull’altro, quello che l’aveva colpita oltre ogni ragione e logica.

André poteva essere morto e lei sarebbe rimasta sola…

Sola…

Sarebbe tornata ad essere sola come sempre era accaduto nella sua vita.

Pensiero egoista, come lo sono tutti i bambini nella loro innocente e spasmodica ricerca di un barlume di sé in ogni cosa, in ogni persona, in ogni parola, in ogni silenzio…

Aveva visto André in quel momento, non un amico, non un compagno d’avventure…

Lui era tutto…era André…

Ci aveva visto sè stessa dentro quel corpo immobile come morto, fuggito chissà dove.

Allora aveva percepito il respiro venirle meno.

 

Il respiro non aveva voluto più saperne di uscire dalla gola. L’aria non entrava più e non usciva più…

Si era ritratta all’indietro, gli occhi sbarrati che parevano non vedere più nulla, eppure vedevano dentro di sé quell’assoluta verità che lei non sapeva interpretare e che pure le aveva stretto il cuore.

Percepiva a mala pena le risa di André ancora compiaciuto dell’ottima riuscita del suo scherzo cretino.

Oscar non riusciva più a respirare…

Né a parlare…

Lei non stava scherzando ma non riusciva a dirglielo a quello scemo di André non lei non riusciva più a respirare.

 

“Che hai?” – aveva chiesto lui asciugandosi le lacrime delle risate con la manica della camicia.

Nessuna risposta…

L’azzurro intenso lucido appena velato da un accenno di pianto, anch’esso inchiodato lì, nella gola chiusa, incapace di consentirle di respirare…

 

Oscar aveva pensato allora che sarebbe morta lì.

Perché aveva pensato di aver perso André.

E a nulla era valso che lui si fosse fatto serio e avesse preso a scuoterla per le braccia, inizialmente convinto che anche lei avesse deciso di prenderlo in giro alla stessa maniera facendo finta di stare male, ma poi aveva capito che non era così e allora le aveva chiesto scusa e le aveva giurato che non l’avrebbe fatto mai più e che insomma non era possibile che solo lei potesse permettersi di fare stupidi scherzi mentre lui no, non poteva scherzare che lei si metteva a frignare…

 

Però Oscar non piangeva…

Solo non…

Non riusciva a respirare…

Non subito almeno.

No, lei non riusciva proprio a respirare…

 

Non riusciva più a respirare Oscar.

Non riusciva a respirare e a muoversi lì, le braccia afferrate e strette da due uomini, i capelli afferrati e tirati a forza da due donne…

Una piccola folla inferocita aveva circondato la carrozza.

L’avevano fermata e avevano preso a tirare calci contro lo sportello…

Fabourg Saint Antoine.

Un gruppetto di parigini o sbandati o…

Che importanza aveva…

 

Non riusciva a muoversi Oscar e a respirare.

L’avevano trascinata fuori dalla carrozza, le avevano strappato la spada, la pistola…

Dio com’era stata sprovveduta…

Fabourg Saint Antoine…

 

Non lo conosceva bene ma sapeva che esso celava disperati e ribelli, borseggiatori e prostitute, giornalisti e tipografi capaci mandare alle stampe tutto ciò che poteva fomentare le menti, almeno di quelli che sapevano leggere.

E quegli altri, quelli che non sapevano leggere…

Bastava dir loro che era colpa dei nobili se il paese non era più in grado di sfamare il suo popolo…

E la folla allora si animava, prendeva vita, pensava a modo proprio e le sue braccia diventavano nervose e la mente s’infervorava e decideva di colpire…

 

Dannazione doveva ricordarselo dei dispacci che si erano susseguiti fin dall’autunno, fino a pochi giorni prima, anche se si era ormai in inverno inoltrato, ma la gente di Fabourg Saint Antoine pareva che il freddo non lo sentisse e la gente di Saint Antoine era livida ed incandescente di rabbia…

Era accaduto lì, proprio lì, in quel maledetto foborgo, che sempre più spesso ignari parigini e nobili e mercanti e semplici viandanti e tutti quelli che osavano aggirarsi per le strade ostentando un barlume di agiatezza, fossero finiti nelle grinfie della gente di Saint Antoine che non aveva freddo, oppure se l’aveva, l’aveva trovato il modo d’ingannare il tempo e di scaldarsi al calore delle fiaccole e dei bracieri e dei roghi in cui finivano le carrozze dei nobili…

Appendendo cappi e appendendoci la gente sopra.

 

Dio stava accadendo allora…

Stava succedendo proprio quello.

Gl’informatori erano stati discretamente chiari…

Non era bene girare per quel foborgo, a meno di non essere un drappello di soldati ben armato e…

 

André era accanto a lei e un istante dopo quei colpi s’erano abbattuti sul fragile guscio della carrozza che non aveva resistito e alla fine era stato aperto, violato, e loro due tirati fuori come due animali che si ostinano a indietreggiare perché hanno intuito che stanno per essere portati al macello…

Dio, quella gente inferocita, urlante, scura…

Una massa informe, gigantesca…

 

Si era abbattuta su di loro e li aveva divisi e lei era solo riuscita ad intuire che quella gente voleva vendicarsi dei nobili, degli aristocratici, di coloro che ostentavano la loro ricchezza, mentre la gente per strada moriva di fame e le madri all’obitorio non avevano nemmeno i soldi per fare il funerale al figlio morto e una bambina poteva restare giorni sopra un tavolaccio freddo perché a nessuno interessava reclamarne il corpo…

 

Oscar aveva gridato allora, con tutta sè stessa, che solo lei era nobile, che solo lei era colpevole di essere nobile.

Ormai essere nobile era diventata una colpa di cui si era colpevoli solamente perché si era tali…

André non lo era e non dovevano prendersela con lui.

Erano state le uniche parole ch’era riuscita a pronunciare.

 

Poi non l’aveva più visto André, inghiottito dalla folla animale e vorace…

E non era più riuscita a respirare, ad urlare a fuggire…

I colpi uno sull’altro si erano abbattuti su di lei.

Il dolore era rimbombato nei muscoli elevandosi e ampliandosi e contorcendosi, insinuato nelle ossa, sospinto dall’odore del sangue misto alla polvere ed al marciume che copriva le strade fangose.

 

Non aveva avuto il tempo di percepirlo e di contenerlo quel dolore perché altri colpi si erano susseguiti…

E altre voci e altre grida che inneggiavano a far presto con il cappio che sennò quei due potevano scappare e sfuggire alla vendetta…

 

Dio…

André…

 

Non riusciva a respirare Oscar, proprio come allora…

André…

 

Lo avrebbe perso…

Dannazione…

André…

 

Non riusciva a respirare Oscar seppure li udì netti e distinti i colpi che rimbombarono nella piazzetta.

Erano fucili ed era difficile che quella gentaglia ne possedesse…

Il respiro chiuso, affondato nello spasmo doloroso dei colpi che battevano sui muscoli, improvvisamente trascinati via, strappati alle mille braccia infernali, da mani altrettanto forti…

 

Non riusciva a respirare Oscar, nemmeno quando si ritrovò addosso lo sguardo sorpreso e terrorizzato del Conte di Fersen…

Pensò che forse stava sognando, sospinta dai pensieri scivolati nella mente quel giorno, radunati lì, di fronte a lei, in quella visione immensamente assurda e distante e distorta in cui lei forse voleva solo rifugiarsi per sfuggire a quanto stava accadendo.

 

Oscar si rese conto che Fersen era proprio lì, davanti a lei.

Per qualche strano scherzo del destino c’era finito anche lui a Fabourg Saint Antoine…

E l’aveva scovata in mezzo a quel feroce marasma e l’aveva trascinata fuori.

 

Oscar sentì il proprio corpo, i muscoli, il respiro, scivolare giù mentre l’altro tentava di sorreggerla.

Udiva la sua voce provenire da lontano, mentre di nuovo il dolore correva a colpirla e a trafiggerla e allora pensò che se avesse chiuso gli occhi tutto sarebbe finito e lei finalmente avrebbe smesso di soffrire.

Nella mente il frastuono della folla inferocita e la eco lontana ed assurda di suoni informi e potenti…

Quella folla pareva una tempesta impossibile da attraversare e le grida e gli insulti erano tuoni e boati enormi…

 

André…

 

Il suo nome, la sua voce, il corpo strappato via…

 

Andrè dove sei?

André…

Dannazione…

André…

 

Un istante e confuso tra le grida e gli spari e i colpi ed il dolore dei muscoli, ad Oscar parve di avvertire un boato elevato e spietato.

Come d’un gigante inanimato improvvisamente risvegliato dal letargo secolare…

 

Riaprì gli occhi di colpo.

Si avvide che non stava sognando e che davanti a lei c’era davvero il Conte di Fersen.

L’uomo le domandò di nuovo come stava.

Che importanza poteva avere in quel momento come stava lei?

Lei era lì e faticava a respirare.

 

André…

 

Il suo nome, la sua voce, il corpo strappato via…

 

Andrè dove sei?

André…

Dannazione…

André…

 

Lei era lì ma era sola…

André non c’era e lei comprese che forse l’aveva perso e…

 

Scivolò a terra non più sorretta dalle braccia di Fersen. 

L’uomo l’aveva guardata sgranando gli occhi mentre lei come in preda al delirio aveva gridato che doveva uscire da lì e correre di nuovo in strada a cercare Andrè…

 

Istintive e pungenti erano sgorgate le parole, il suo nome, lo spasmo del corpo che non ne voleva sapere di calmarsi, fermarsi, restare al sicuro…

Dove?

Lì, al sicuro lì, in quel vicolo ammuffito, in quella vita senza di lui?

 

André…

Il mio André…

Mio…

Tu sei mio…

 

S’espanse indistinto e feroce il possesso del nome, attraverso il corpo e le viscere, percosse e lacerate…

 

Il nome di André, il suo corpo, il suo volto, le sue mani, le spalle, gli occhi, la bocca, il respiro, lo sguardo…

Tutto di lui le apparteneva e tutto si espanse e Oscar si ritrovò il nome di André sulle labbra, senza che la volontà e la ragione e la logica glielo suggerissero…

 

Fersen istintivamente strinse le spalle di lei e la guardò come a chiederle cosa fosse accaduto e se fosse davvero ciò che lei desiderava e sentiva e voleva…

Glielo chiese di nuovo con gli occhi e lei rispose di nuovo con gli occhi stravolta…

 

Il mio André…

André…

 

Quel nome, pronunciato con rabbia e dolore e sorpresa…

Esse scorrevano negli occhi di Oscar nell’istante in cui quel nome era scivolato sulle labbra…

Quel nome…

Un debole sorriso…

Fersen corse via.

 

“Il mio André…” – ripeté Oscar ossessivamente mentre era a terra e nelle orecchie le parole di Fersen che la rassicurava e le diceva di restare nascosta e che ci avrebbe provato a ritrovarlo André e che lo avrebbe riportato sano e salvo...

 

Il mio André…

 

Dove ti fa male? 

Oscar?

 

La voce di suo padre che le chiedeva se le faceva male la testa, il collo, le braccia, la pancia, dopo che lei era caduta da cavallo…

La visione lontana di lei che osservava André steso a terra nell’erba, immobile, come morto, e lei che gli chiedeva di aprire gli occhi e di guardarla, perché non poteva stare senza di lui, non poteva respirare se lui non fosse tornato a guardarla e non le avesse parlato.

 

Oscar strinse i pugni e deglutì a fatica e i muscoli si contrassero attraversati dal sapore tagliente ed amaro del sangue.

Si passò una mano sulla bocca…

 

L’altro braccio era chiuso attorno al corpo di André che se ne stava come morto, rannicchiato nell’angolo della carrozza che lei era riuscita a trovare dopo che Fersen e i dragoni di scorta al Generale Bouillé avevano disperso la folla di demoni inferociti e lei, sgusciando fuori dal pertugio buio, aveva preso a camminare veloce, più veloce che poteva, scorrendo con gli occhi ai muri umidi e scrostati di quel vecchio quartiere buio, per cercare André, chiedendo, pregando, implorando Dio di ritrovarlo.

Perché finché non l’avesse visto e non avesse saputo che era vivo lei non sarebbe più stata capace di respirare…

 

L’aveva trovato alla fine e si era inginocchiata davanti a lui. 

Era vivo, le mani legate dietro la schiena, il viso stravolto.

Il cappio che penzolava poco lontano…

Quella era Parigi.

Anche quella.

 

Oscar l’aveva aiutato ad alzarsi. 

Si era stretta a lui. 

Era scivolata accanto a lui e adesso lo stava tenendo stretto a sé, come quel giorno, in quel prato assolato.

Gli pareva avesse perso conoscenza…

Il dolore lo impone quando il corpo non è in grado di oltrepassare certi limiti.

“André…ti prego…guardami…”.

 

Oscar lo disse piano a lui e poi a se stessa.

Insistette sul volto, piegato da una smorfia contenuta di rabbia, per scorgere un respiro che fosse solo suo e che le riportasse il consenso a ciò che lei chiedeva…

“Come stai…”.

 

Le mani si aprirono d’istinto e si appoggiarono sul torace di lui.

Il battito lontano ma ritmato s’infranse contro il palmo. 

Oscar si permise di ascoltarlo chiudendo gli occhi.

“Sei vivo…”.

 

Lo sapeva che Andrè era vivo e che respirava ma lei non era riuscita a farsi bastare quel battito appena percepito sotto la rigida stoffa dell’uniforme.

Adesso voleva sentirlo André.

Adesso voleva tornare ad averlo per sé, come un tempo, quando nessuno diceva loro chi essere e cosa fare…

No…

Forse non come un tempo.

 

Le mani si aprirono di più e le dita si mossero correndo ai bottoni dell’uniforme chiusa.

Ad uno ad uno essi sgusciarono dai piccoli alamari che chiudevano il colletto.

Oscar continuò, lasciando muovere le dita, lentamente, chiudendo gli occhi, ed avvicinandosi di più ancora di più, entrando dentro quel sentore proibito che lei non aveva mai voluto vedere ed ascoltare.

Non pensava più a nulla, solo all’immane e distinto desiderio di averlo per sé…

Aveva rischiato di perderlo.

 

Liberò la gola dal colletto chiuso dell’uniforme…

Aprì la stoffa quasi fosse essa a togliere ad André la capacità di respirare più liberamente.

Ora lo chiedeva per sé quel respiro...

Nessun pensiero, nessun ragionamento…

Nulla.

Solo il desiderio di toccare la pelle e di ascoltare il calore e di avere per sé quel battito più forte che adesso poteva ascoltare intenso.

 

Si strinse ancora di più al corpo di André.

Si appiattì quasi su quello di lui, senza pesargli addosso però.

Iniziò a scorrere con la mano destra insinuata dentro l’uniforme, lungo i muscoli del collo, lisci e morbidi.

Le labbra si schiusero in accordo a quei gesti, per chiedere aria e respirare e per chiedere aria di nuovo e respirarlo, lui, la pelle, il sangue, il terrore…

Gesti infinitamente lievi e dissolti, liberi, di cui voleva godere perché soltanto suoi…

 

Mantenne gli occhi chiusi e lasciò che le mani la guidassero…

Sei vivo…- mormorò piano quasi a giustificare quei tocchi così incerti.

 

La bocca si era fatta ancora più vicino al viso di André…

 

So che questa volta non stai scherzando…so che stai male davvero…solo per colpa mia…

 

Ti amo…

Da sempre…

 

Un moto istintivo si animò dallo stomaco…

Forse che il pestaggio avesse avuto il pregio di acquietare finalmente la bestia insensata e feroce che controllava la coscienza e impediva di vedere al di là di essa!?

E lasciare che il dolore la invadesse e la piegasse e sciogliesse almeno un poco la furiosa quiete!?

 

Ghiaccio liquido che colmava le vene e non permetteva di vedere altro che se stessi e la propria intransigente arroganza.

Tutto sotto controllo…

Tutto perfetto…

Tutto in ordine…

 

L’amore non è così. 

L’amore è caos calmo e dirompente…

L’amore non attende, non chiede, non sussurra…

L’amore arriva e ti porta via e tu non puoi farci niente.

Puoi solo cercare di tenerti salda ma non puoi opporti alla maldicenza che insinua nel cuore.

Amore…

 

Bestia feroce che ora correva sulle labbra dischiuse appoggiate alla guancia calda e ruvida.

La lingua si sporse un poco…

 

Gli occhi chiusi e di nuovo il minerale sentore amaro del sangue percepito sulla pelle a mescolarsi a quello intenso di André…

La sua pelle, la stessa che Oscar aveva osservato quella sera di tanti mesi prima, di fronte a sé, mentre lui la guardava e sembrava non vederla affatto.

Mentre le diceva che l’amava e che l’aveva sempre amata e quelle parole erano diventate lame taglienti ed implacabili a lacerare il velo scuro della superbia.

 

Oscar aveva chiesto troppo.

Aveva opposto a quell’amore la sua dannata sete di conoscenza e di controllo su ogni cosa.

Aveva opposto lo stupore, la rabbia di non aver compreso prima e poi i sensi di colpa di continuare a non comprendere dopo, perché – si era detta – lei non sapeva amare, non poteva amare…

 

Parole inutili, perché adesso si trovava di fronte ad un bivio.

Parole vuote perché nulla aveva più importanza…

Parole racchiuse ora in quella bocca adagiata sulla guancia.

Un mondo infinito colmo del sapore amaro e tagliente del sangue.

 

Mi hai amato troppo André

Mi hai amato anche per quello che non ho amato io…

Hai amato me persino dove io stessa non ero in grado di amarmi…

Mi fa paura questo tuo amore.

Lo temo perché è ineguagliabile.

 

Oscar si scosse, di nuovo.

Di nuovo stava ragionando, introducendo paragoni, considerazioni, dubbi, soluzioni a ciò che non poteva imbrigliare, né con la mente né con la coscienza.

Inafferrabile…

 

Ecco come le appariva André in quel momento. Anche se lei lo stava stringendo a sé e si stava stringendo a lui e quel contatto era ciò che di più solido e semplice poteva essere mai esistito nella sua vita.

C’era sempre stato André…

C’era anche quando ancora non esisteva e forse nemmeno lei esisteva per lui…

C’era da sempre e…

Ci sarebbe sempre stato.

 

Chiuse gli occhi lasciando la mano sul torace in ascolto di quel battito lento.

L’odore della pelle spossata, stanca, impaurita riempiva le narici, una sorta di profumo indelebile che sapeva di calma e di forza e di ferreo liquido temprato e di silenzio accogliente.

 

A Versailles…

Questa fu la destinazione che impose al conducente della carrozza.

 

Via da Paris…

Lontano…

A casa.

***

La camicia finì a terra, gettata via con rabbia.

Era sporca di sangue, come l’uniforme, come tutto quanto le stava dannatamente appiccicato addosso…

Quasi si pentì di aver gridato a nanny che non aveva bisogno di nulla e di nessuno e che pensassero ad André, prima di tutto, anche se lei era la figlia del padrone, anche se stava male, anche se lì, nella sua stanza vuota, pareva attraversata da un fiume lavico caldo e tagliente che l’avrebbe annientata.

 

Nanny le aveva fatto preparare una vasca d’acqua calda, le aveva lasciato dei vestiti puliti e delle bende.

Sapeva arrangiarsi Oscar a leccarsi le ferite, quelle che percorrevano la carne e che bruciavano nere di sangue rappreso ma che alla fine si rimarginavano, anche se lasciavano cicatrici profonde incise nella memoria della carne.

Era meno preparata a curare ciò che le stava accadendo, perché, di colpo, pensò di averlo compreso, e, di colpo, pensò che non potesse essere vero…

 

Perché l’amore non poteva essere così, rivelarsi in un istante, sgorgare da chissà quale recondita profondità insondata ed inspiegabile…

L’amore deve essere come tutte le altre cose della vita: si annuncia, si annusa, si percepisce e si accoglie perché esso lusinga, ammalia, attrae e solleva.

Lei non aveva sentito nulla di tutto questo e adesso non poteva credere che quello che le stava accadendo fosse amore…

 

Non era come l’amore di André, quello che lei adesso cominciava ad intuire, istante dopo istante, imminente, incommensurabile…

L’amore di André si era nutrito di anni di silenzi, di occhiate gelide, di discorsi interrotti, di serate annegate nell’alcool che toglie il pensiero ma non la disperazione del pensiero…

 

Dio…

André…

 

Il volto di Fersen ripiombò su di lei.

Ma solo per…

 

Chissà se hai capito cosa provavo per Fersen?

Anche allora mi amavi…

Come sei riuscito ad amarmi, ancora, anche dopo?

E adesso?

 

Una domanda lapidaria e secca che la fece scivolare a terra.

 

E adesso?

 

Una fitta più acuta delle altre la costrinse a respirare piano e le lacrime si fecero strada sollevate dal dolore intenso fisico tagliente e disperato di aver forse commesso l’ennesimo errore della sua vita.

Si ritrovò impreparata alla rivelazione che il suo corpo le stava gridando, riversata addosso come un fiume in piena, perché lei non aveva mai capito nulla di André e lui invece era stato così trasparente nei suoi gesti, così cauto e cristallino che lei non lo aveva proprio visto quell’amore, eppure l’aveva avuto sotto gli occhi ogni istante, ogni respiro, ogni gesto, ogni stagione della sua vita.

E anche lei avrebbe voluto amare ma non sapeva perdersi e disperdersi e non sapeva se lui…

 

Oscar si rialzò piano.

Si vestì lentamente, bendando le ferite più superficiali.

Nel corridoio incrociò nanny che non si era rassegnata a lasciarla in pace e voleva sapere cosa fosse accaduto e chi era stato a ridurre lei e suo nipote quasi in fin di vita.

 

L’anziana governante l’obbligò a sedersi nella sala da pranzo per servirle una tazza di cioccolato caldo e spendere finalmente le sue rimostranze contro la città di Parigi che stava diventando un posto assurdo e pericoloso per una ragazza come Oscar.

Lei l’ascoltò tornando con la mente alla visita alla Basse – Gêole e alla scomparsa di Mimose.

Non era il caso di rivelarlo a nanny…

E così preferì lasciarsi cullare dalle parole basse e ferme dell’anziana governante, mentre la pioggia aveva ripreso a scivolare gelida sulle finestre della sala.

 

Oscar si ritrovò stranita ed incredula a contemplare la propria immagine distorta nel cerchio marrone e denso della tazza.

Sussultò un istante ritrovandosi poco dopo nel tono calmo e nello sguardo di André.

Si era ripreso…

Chissà se nella carrozza lui si era accorto…

 

Oscar riuscì a sollevare lo sguardo su di lui solo un istante…

Aveva rischiato di perderlo.

Solo adesso se ne stava rendendo conto.

E perderlo avrebbe significato perdere se stessa…

E tutta la sua forza, la sua superbia, la sua cinica visione di sé e del mondo si erano come disgregate di fronte a quel pensiero.

 

Andrè era davanti a lei, di nuovo.

E lei non riusciva a pensare a nulla se non che aveva rischiato di perderlo.

“Oscar…volevo solo dirti che mentre salivamo sulla carrozza…ho sentito alcuni tra la folla che imprecavano contro i soldati intervenuti…alla fine nessuno è rimasto ferito e sembra che non ci siano stati altri scontri. Credo che anche il Conte di Fersen sia tornato sano e salvo…”.

 

La voce di André era salda e calma, come sempre.

Oscar dovette tornare ad abbassare lo sguardo seppur sgranato al vapore intenso e profumato della cioccolata, incapace di tornare a quello di lui.

 

Tentò di addomesticare la voce, avvolta ed incredula lei stessa da quella specie di fluido silenzioso e dolce mentre si domandava perché André, il suo André, le stesse parlando di Fersen, di quel Fersen che era stato per lei una parentesi sì dolorosa, ma una parentesi ormai chiusa e dissolta.

Che la credesse ancora innamorata del conte?

Davvero André poteva credere una cosa simile?

 

Le considerazioni di André le riportarono la risposta alla domanda che si era affacciata nella mente in quella giornata.

André l’aveva capito. 

André lo sapeva di lei e…e di Fersen.

 

Amare ed assistere in silenzio, in disparte, al minuetto d’illazioni e illusioni, senza poter dire nulla, neppure che lui sapeva…

E anche adesso, anche adesso lui le parlava di quell’altro, con rassegnazione, con rispetto, non verso l’altro ma verso di lei, quasi che rispettando l’amore di lei verso Fersen, fosse come rispettare lei.

 

Oscar trattenne un tremito delle mani.

Lo ringraziò per quella notizia…

Non riuscì a dire altro, la gola chiusa, soffocata dal pensiero che avrebbe potuto perdere André, per sempre, ma che lui era lì, era vivo, e nonostante tutto la rispettava al punto da farle sapere che il conte era salvo, forse semplicemente sapendola ancora innamorata di quell’altro.

 

Lo guardò mentre se ne andava, dopo aver declinato l’offerta di una tazza di cioccolato. 

Lo vide stanco, perso, così diverso dall’André che l’aveva sfidata con rabbia e disperazione dicendole che lei era una donna e che una donna non sarebbe mai diventata un uomo…

 

Oscar a quel punto comprese.

In quei mesi si era sforzata con tutta se stessa di essere un uomo. 

Comandare dei dannati soldati avanzi di galera…

Non lasciarsi intimorire dalle stupide provocazioni che l’avevano quasi portata sul punto di essere violentata da quegli animali…

 

Rifiutare un matrimonio che l’avrebbe costretta ad essere altro, altro ancora persino di una donna, per quanto lei non ne sapesse proprio nulla di come poteva o doveva o voleva essere una donna…

In quei mesi era fuggita da tutto e persino da se stessa.

Allora comprese a cosa si riferisse André quando le aveva detto…

 

Andrè si riferiva ad altro.

Lui l’aveva vista e conosciuta come nessuno.

Lui l’aveva amata come nessuno.

Lui aveva visto e sentito di lei, quella parte di lei che lei stessa aveva negato e rifiutato.

Lui la conosceva per ciò che era, nuda, disarmata, senza uniforme, senza regole, senza un padre da compiacere, senza una regina da proteggere, senza un conte da lusingare.

 

Lui non aveva fatto nulla per averla eppure l’aveva avuta con sé tutti i giorni della sua vita, trattenendo per sé solo quella parte pura, nascosta, lontana, di lei, quella parte che solo André era riuscito a scovare e che solo André con la sua vicinanza, i suoi silenzi, la sua forza era riuscito a far nascere dentro di lei.

Era lui, alla fine di tutto, che le aveva consentito di essere così come adesso lei si stava osservando…

 

Nuda, disarmata, senza uniforme, senza regole, senza un padre da compiacere, senza una regina da proteggere, senza un conte da lusingare.

Lui aveva visto il suo corpo, così, bello e amabile e fiero e forte e debole al tempo stesso, e fragile e potente, molto più potente di quello di lui.

 

Capace di innalzare l’esistenza di un uomo e capace di spezzarla per sempre…

Era ciò che lui amava e che non voleva perdere…

Era ciò che lei non avrebbe mai potuto cambiare, nemmeno se avesse voluto.

 

Lo sguardo di Mòse, allegro e solare, tornò a farsi strada nella mente di Oscar.

Strinse la tazza e pianse, in silenzio, da sola, perché il cuore faceva male e pareva scoppiare e lei pareva non farcela più.

Quell’amore intenso e disperato che lei aveva tentato con tutte le sue forze di tenere lontano dall’anima…

Quell’amore si stava manifestando nelle forme più disparate ed impensate e traditrici.

Quell’amore stava sfinendo i sensi.

 

Il sorriso di Mòse, la piccola Mimose aveva aperto la breccia e l’aveva condotta di nuovo al volto di André, bambino.

Il principe Joseph…

E poi la piccola Diane…

 

La sua innocenza e la sua forza e la sua ingenuità l’avevano condotta alla forza ed all’ingenuità di se stessa, quando non conosceva che quella e di quella si fidava…

Diane era ancora là fuori, in balia di un destino incerto, che nessuno, tranne forse suo fratello, avrebbe voluto proteggere.

Mòse invece non c’era più.

 

Il legno scuro della porta…

Oscar lo fissò qualche istante, la mano a mezz’aria ferma, in attesa che il cuore si fermasse e lei si decidesse a bussare, davanti alla stanza di André, al piano terra.

Le gambe erano corse veloci sui primi gradini che portavano al piano superiore, alla sua stanza, ma poi si erano fermate e la mente era tornata indietro, laggiù, mentre il buio avvolgeva le stanze fredde della sua casa vuota.

Aveva spento d’istinto le candele con un soffio, appena raggiunta la porta.

Aveva deciso di bussare ed attendere una risposta e qualsiasi fosse stata lei non se ne sarebbe andata.

Pareva si fosse messa apposta nella condizione di non poterlo fare più.

 

Decise di entrare, alla fine, senza bussare.

Se André fosse stato sveglio…

 

Aprì piano la porta, la stanza immersa nel buio.

La stanza conosciuta, la stanza di André, la stanza dove tante volte loro due si erano rifugiati, tenendosi le mani sulla bocca per evitare che il riso soffocato li facesse scoprire e nanny dietro con il mestolo per sedare l’ultima trovata dei suoi monelli.

 

La stanza conosciuta, un poco spoglia, pochi libri in una piccola libreria, i vestiti severi riposti con cura nell’armadio, la spada che lei aveva regalato ad André, custodita nel suo fodero, e poi i fogli e il calamaio.

Nient’altro.

André…un’esistenza sobria, serena, eppure…

 

Lui c’era e Oscar sentì il petto oppresso da un dolore indicibile, e le mani si strinsero al candelabro spento e lei decise di avanzare perché non voleva più tornare indietro, non voleva più indietreggiare di fronte a sé stessa e di fronte a lui.

La stanza era buia ma lei la conosceva e si mosse piano percorrendo lo spazio che la condusse verso il letto.

Le candele erano spente e gli occhi ci impiegarono un poco per catturare la luce oscura e calda che lentamente la condusse verso il viso di André.

 

Si abbassò verso di lui e lo vide…

Dormiva, raggomitolato sul fianco destro.

Oscar sorrise. Non aveva cambiato le sue abitudini, era sempre stato così che André alla fine si addormentava.

E lei, finché era riuscita a farlo, sgusciava via dalla sua stanza e…

 

Fece il giro del letto, appoggiò il candelabro, poi sollevò leggera la coperta…

E s’infilò silenziosa come un gatto nel letto, come quando era piccola, anche se André già dormiva come un sasso e lei se ne stava lì al buio, da sola, a meditare sulle imprese riuscite in quella giornata e quelle che avrebbero orchestrato assieme nella giornata successiva.

 

Un dito alzato per ogni scherzo e parole sussurrate come se lui fosse sveglio e stesse lì a constatare i successi e a correggere gli errori da non ripetere.

Non era necessario che André fosse sveglio, non era necessario che le parlasse bisbigliando per non essere scoperti da nanny.

André dormiva beato ma era lì, accanto a lei e lei alla fine si addormentava…

Magari, senza nemmeno accorgersene, gli finiva appiccicata addosso, perché lei amava la pioggia e i temporali, ma i tuoni, non tutti, solo alcuni, erano troppo forti da sopportare…

E allora magari c’era la sua camicia da stringere, mentre lui dormiva.

 

Un mugolio sordo le fece intendere che André non era poi addormentato così profondamente.

Le ferite bruciavano anche nel sonno, l’accanimento di quella gente era lì, tra loro, piantato come una lama, a ricordare ad entrambi che erano vivi per un soffio.

 

Oscar si sentì come una specie di ladra sul punto d’esser scoperta.

Smise di respirare, di muoversi, e se avesse potuto avrebbe imposto persino al cuore di smettere di battere.

La pioggia era ripresa intensa fuori e adesso era quasi una gara tra i ticchettii continui delle grosse gocce che colpivano i vetri e i battiti del cuore forse più intensi e potenti.

 

Improvviso fu il desiderio di venire scoperta.

Il desiderio, non il timore d’esserlo…

Non le sarebbe importato nulla se André si fosse svegliato e l’avesse trovata lì, come un tempo, anche se nessuno avrebbe potuto restituire loro il tempo trascorso.

 

Oscar scivolò ancora più giù, sotto le coperte…

Ogni muscolo gridava la sua tensione e lei si morse il labbro per non gridare.

Ogni più piccola parte di sé voleva solo ritrovare André, il suo André, colui che aveva detto di amarla…

Perché adesso lei voleva solo quell’André, quello che l’amava e che lei non conosceva.

 

Un André nuovo, diverso, e adesso desiderato intensamente come quella parte di sé che lei voleva ritrovare in lui…

Si chiese se anche quello fosse amore.

 

O non piuttosto il disperato desiderio dettato dall’egoismo di non voler più, di non saper più affrontare nulla in solitudine.

Se fosse stato soltanto quello, allora sarebbe stata la fine.

Illudere sé stessa ed illudere lui.

Sarebbe stata la fine di tutto.

 

Si voltò anche lei sul fianco destro e si distese allungandosi parallelamente al corpo di lui.

Non si adagiò su André, anche se la distanza era minima.

Si permise solo di raggiungere la mano sinistra e di afferrarla e di stringerla un poco.

“Se le forze non me lo avessero impedito…sarei venuta io a salvarti…” – disse piano.

 

Ora finalmente quel corpo non le faceva più paura.

Non come quando se l’era trovato addosso e la sua forza l’aveva trascinata via e lei era rimasta incredula e persa perché non se lo ricordava che André fosse così forte, tanto più forte di lei…

Quel corpo, ora inerme e dolente, era tornato ad essere quello di un tempo, quando André l’abbracciava e la strattonava e la picchiava e rubava i biscotti per lei, e lei attendeva di vederlo al mattino…

 

André, ultimo pensiero della sera e primo del giorno successivo.

Voleva lui, voleva stare assieme a lui…

Un gemito più fondo si perse nel buio e Oscar se ne rimase lì muta a respirare piano, ad ascoltare il respiro lento di André, a nutrirsi di quella vita che immobile gli parlava di lei e di ciò che era stata.

 

***

“Se t’interessa saperlo…adesso mi sono ricordato…” – bofonchiò Vincent Sabin alla vista della carrozza distrutta che galleggiava come la carcassa d’un animale morto nello specchio d’acqua del Grand Arsenal.

La luce cupa e grigia del mattino aveva rivelato ai Soldati della Guardia lo scempio perpetrato la notte precedente dalla folla inferocita che aveva assaltato e distrutto una carrozza di nobili.

I resti del mezzo erano lì, sotto gli occhi degli uomini accorsi alla notizia altrettanto sorprendente che dentro c’erano il loro comandante insieme al Soldato Grandier.

Entrambi erano scampati per un soffio alla morte.

La carrozza emergeva di poco, sventrata e svuotata.

Sull’anta mezza divelta s’intravedeva un leone indaco che reggeva una spada.

 

Vincent indicò sprezzante verso l’acqua.

“Quello era il simbolo della carrozza che stava dai Livrer!” – continuò spietato – “Hai capito adesso?”.

 

Alain osservò il relitto.

Allora era quella la carrozza su cui aveva viaggiato Diane.

La carrozza della famiglia Jarjayes… 

Che diavolo aveva a che fare il loro comandante con Diane?

 

“Adesso non resta più nulla nemmeno di quella!” – concluse Vincent animato dalla sua rozza risolutezza.

Già…

Ora Alain ci vedeva dannatamente chiaro…

 

Tutto ciò che aveva a che fare con la visione o l’idea o come diavolo la si volesse chiamare che riguardava Diane, la sua Diane, assieme ad André, pareva, ora dopo ora, svanire come un sogno rarefatto e distorto, frutto solo di una sbronza infausta causata da un vino assolutamente disgustoso.

Eppure Alain doveva acciuffare in tempo i pochi fili che ancora oscuri di quell’assurda commedia riuscita male.

 

Alain doveva sapere.

Alain non poteva più tacere a se stesso che qualcosa non quadrava in quella storia.

Avrebbe parlato con André, e si sarebbe fatto dire come stavano le cose…

 

Dalle tasche estrasse i biglietti ricevuti per conto di Diane.

Non erano molti ma in compenso persino un bambino si sarebbe accorto che la grafia era unica.

Segno che dovevano essere stati scritti tutti dalla stessa persona.

Alain si rimise in tasca i fogli.

 

Gli bastava solo sapere chi fosse la persona che li aveva scritti e perché lo avesse fatto…

 

* Attuale Place des Vosges

 

** Dies Irae di Thomas Celano

 

 

     


                     





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