FanFiction Lady Oscar | Paris di anna_1755 | FanFiction Zone

 

  Paris

         

 

  

  

  

  

Paris   (Letta 810 volte)

di anna_1755 

21 capitoli (in corso) - 0 commenti - 2 seguaci - Vietata ai minori di 16 anni

    

 

Sezione:

Anime e MangaLady Oscar

Genere:

Storico - Romantico - Drammatico - Giallo

Annotazioni:

What If

Protagonisti:

Oscar François de Jarjayes - Andre' Grandier

Coppie:

Oscar François de Jarjayes/Andre' Grandier (Tipo di coppia «Generic»)

 

 

              

  


  

 Entrague 

 


  

Entrague

La porta della stanza si aprì e André pensò che a quel punto nessuno sarebbe più uscito indenne dalla catastrofe di cui solo lui pareva aver compreso la portata.

Non lo aveva sicuramente compreso Alain che, con le sole brache di tela indosso ed il resto degli indumenti sparsi per la camera o appesi qua e la ad asciugare, era bellamente intento a lucidarsi gli stivali...

E non avrebbero potuto comprenderlo nemmeno i tre Soldati della Guardia che si fecero strada baldanzosi entrando con zaini, baionette, stivali luridi di fango, e sorrisi compiaciuti stampati sui faccioni.

 

“Cavolo ragazzi ma che ci fate qui?” – esordì Alain per nulla infastidito alla vista degli altri.

“Alain…volevi fregarci eh! Ma noi non siamo mica scemi! Sappiamo quello che hai in mente e vogliamo far parte del gruppo. Diavolo ce l’avevi promesso! Che razza di capo saresti sennò!?” – bofonchiò uno dei tre…

Il soldato Jean Baptiste Frerer, “Voltaire”, così ribattezzato perché uno dei pochi soldati che riusciva ad articolare un discorso sensato, a differenza di tanti altri mezzi analfabeti, se si escludeva André ovviamente…

 

E André a quella visione si passò le mani nei capelli sgranando gli occhi…

“Maledizione! Dobbiamo andarcene!” – imprecò più forte.

Prese ad andare su e giù per la stanza a grandi passi mentre tentava di recuperare il proprio bagaglio, raccattarlo più in fretta possibile...

“Eh damerino…” – esordì un altro soldato massiccio e per niente amichevole, Camille Bertinou, detto Romanov, per via di un parente, non si sapeva bene quale, originario della Russia – “Non ti è bastata la lezione dell’ultima volta? Che t’interessa quanti siamo qua dentro? Tanto non ci resteremo per molto! E se a te non sta bene…”.

“Calma…calma c’è posto per tutti!” – intervenne Alain che conosceva bene l’astio che aleggiava tra i propri compagni nei confronti di André – “Dormirete per terra…ma non fate troppo baccano altrimenti ci buttano tutti fuori a calci. Qui ci sono anche ufficiali ed è meglio non dare troppo nell’occhio…”.

“Alain dammi ascolto!” – continuò André sempre più serio – “Tra poco ci butteranno fuori a calci comunque! E’ meglio lasciare subito questa stanza”.

“Senti mi hai stancato!” – sbottò Romanov facendosi contro André con fare minaccioso e il pugno destro alzato in bella vista – “Se non ti sta bene la nostra presenza puoi anche alzare i tacchi e andartene!”.

 

André non arretrò di un passo.

“Non avete capito niente! Questa stanza era già assegnata ed è meglio lasciarla subito…”.

“Ti riferisci al tizio di cui ha parlato la proprietaria?” – chiese Alain.

“Proprio quello…credimi Alain è meglio se…”.

“Io non mi muoverò di qui!” – saltò su Voltaire dando una sonora pacca sulla spalla al terzo soldato rimasto in silenzio fino a quel momento – “Vero Gerard?”.

Gerard Lasalle…

 

Il giovane balbettò un timido sì anche se aveva compreso, lui che non era di molte parole e neppure di grande forza, che stava accadendo qualcosa di spiacevole e adesso si era messo a guardare André perché tra tutti pareva l’unico ad aver compreso il senso del discorso.

André, d’altra parte, fece un passo deciso verso il baule che si trovava dietro il letto.

“Lo vedi questo?” – chiese questo rivolto ad Alain.

“E allora?” – rispose l’altro con aria di sufficienza, quasi che quella storia stesse iniziando a stancarlo.

“Questo, se non l’hai ancora capito è un baule che conosco bene. E’ quello che mi ha accompagnato spesso nei viaggi con…”.

 

André si morse il labbro.

Far trapelare certi particolari non era da lui.

Conosceva la spocchia dei suoi compagni verso il comandante e mai e poi mai si sarebbe addentrato in racconti che riguardavano lei, loro, il passato, i viaggi ad Arrais, le estati dolci e struggenti, le corse, le giornate, le ore accaldate che risalivano a tratti dal profondo della memoria, schegge di un enorme specchio infranto, ormai incapace di riflettere una qualsiasi immagine di loro, assieme…

Quei frammenti appartenevano solo a lui e a nessun altro…

Quei ricordi erano suoi e lui non poteva immaginarsi che dalla bocca dei suoi compagni sarebbe potuta uscire anche solo una mezza allusione sarcastica e crudele sulle sensazioni che essi recavano.

 

“Con?” – lo incalzò Alain – “Mi stai dicendo che conosci quel baule?”.

André non resistette al tono di sufficienza di Alain.

Come dannazione aveva fatto a farsi convincere ad arrivare fino li…

“E’ del comandante! Il nostro comandante!” – scandì con rabbia per togliersi la soddisfazione di far sparire dalla faccia di Alain quel sorrisetto ironico.

La rivelazione, lungi dal suscitare sorpresa, sollevò un mormorio sommesso…

“Del nostro comandante? Ma ne sei sicuro?” – chiese Voltaire con sufficienza, poco convinto.

“Si ne sono sicuro. Andiamocene. Se si rende conto…”.

“Orc…diavolo…giuro che io non lo sapevo!” – si affrettò a schermirsi Alain alzando le mani in segno di resa ma trattenendo a stento una risata soffocata.

“Neanche per sogno! Io non me ne vado” - sbraitò Voltaire – “Devo cambiarmi e sono già in ritardo e io questa sera mi voglio divertire. Diavolo, siamo in cinque! Che provi a buttarci fuori quella donna!”.

“Ma sei uscito di senno?” – chiese André stupito di quella reazione – “E’ il tuo comandante. A parte il fatto che questa è la sua stanza, come credi che reagirà sapendo che noi ci siamo ritrovati in un alloggio che non ci era stato assegnato? Ci sbatterà in cella d’isolamento!”.

“André calmati…” – intervenne Alain – “Credo che tu stia esagerando. C’è troppa confusione a Parigi in questi giorni e nessuno può permettersi di fare a meno di cinque soldati per uno scambio di stanza”.

“Nessuno tranne il…il tuo comandante!” – biascicò André che stava per perdere la pazienza – “Non ti facevo così incosciente Alain…”.

“Proviamo a scendere e a chiedere alla padrona se si sono altre stanze disponibili…” – continuò l’altro.

“Ti ricordi quello che ha detto quella donna? – contestò André – “Questo posto è al completo!”.

“Io non me ne vado!” – replicò Romanov che nel frattempo si era già sfilato la giacca e si era lasciato cadere su un divanetto gesticolando verso Lasalle perché lo aiutasse a levargli gli stivali – “E poi potremmo anche stringerci un po’…ah mi sono sempre chiesto come dev’essere dormire con un’aristocratica!”.

 

La battuta evidentemente sarcastica non riguardava affatto un’aristocratica qualunque…

André sentì salire la rabbia dentro di se.

Quella sera ne aveva davvero sentiti troppi e troppo disgustosi di commenti!

Si avvicinò in pochi passi a Romanov.

“Non ti azzardare nemmeno a pensarle certe cose. Sei solo un idiota!”.

L’altro per nulla intimorito rincarò la dose rialzandosi e agitando le brache dell’uniforme con fare decisamente arrogante.

“Ehi damerino…senti un po’…poi mi devi spiegare perché diavolo ti sei arruolato nei Soldati della Guardia proprio quando è arrivata “quella”! Non sarà mica che t’interessa? Mi sa che ti abbiamo giudicato male. A te di fare la spia dei nobili non te ne frega proprio niente. Secondo me vai dietro al comandante e saresti disposto a buttarti nel fuoco per lei!”.

 

André ingenuamente si sentì punto…

Il destro nervosamente trattenuto in procinto di colpire il molesto ma sagace interlocutore tremò alzandosi debolmente…

Una reazione che non passò inosservata nemmeno tra i soldati più tardi e rozzi.

 

“Ecco vedi…” – insistette Romanov con un sorrisetto – “Ti si legge in faccia! E allora forse questa sistemazione farebbe comodo anche a te, tanto noi ce ne andremo fuori!”.

A quel punto la mano di André si avvinghiò al bavero dell’uniforme dell’altro e con uno spintone Romanov si ritrovò contro la parete. L’uomo barcollò ed emise un grido di rabbia…

 

“Diavolo, volete smetterla!” – gridò Alain.

André stava per avventarsi di nuovo verso Romanov ma Voltaire gli si parò davanti.

“Ti conviene fermarti qui” – intervenne il soldato – “Tanto se quello che ha detto Romanov è vero non credo che ti abbia offeso…”.

La semplice constatazione di Voltaire si abbatté André.

La pura verità…

Scaldarsi troppo per proteggere un amore impossibile non avrebbe fatto altro che alimentare la morbosa curiosità di quegli idioti.

 

“Io…io credo che André abbia ragione…” – intervenne Gerard balbettando – “Comunque sia non possiamo restare. Non si è mai visto che ufficiali e soldati semplici alloggino nella stessa stanza e oltretutto il nostro comandante…insomma…ci vuole un po’ di rispetto….forse è meglio se ce ne andiamo”.

André abbassò i pugni e volse lo sguardo verso Gerard allargando le braccia.

Per quella sera ne aveva sentite davvero troppe di idiozie e quelle parole erano state le uniche sensate…

André arretrò un poco per evitare di lasciarsi prendere dalla foga di tacitare il compagno di stanza e di sventura dato che Romanov insisteva a sorridergli in faccia con fare idiota e provocante.

 

“Alain dobbiamo uscire. Cerca di convincere questi imbecilli, altrimenti…” – ripetè aggiustandosi alla meglio la camicia.

Era umida ed il freddo lo percorse ricacciandolo nella sua incerta esistenza.

Si avviò verso la porta caricandosi sulla spalla lo zaino e lasciando scivolare le dita sull’impugnatura della baionetta.

“Ma come ho fatto a lasciarmi convincere…” – imprecò appoggiando la mano sulla maniglia della porta - “Sbriga…”.

 

André non riuscì a terminare la frase perché la porta si aprì precedendolo, senza che lui potesse più muovere un muscolo.

Una voce, un timbro assolutamente conosciuto, lo raggiunse e André ebbe solo il tempo di abbassare di poco lo sguardo per ritrovarsi piantate addosso due iridi celesti e taglienti.

Il respiro si bloccò ma lui imperturbabile rimase alcuni istanti a contemplare quello sguardo sorpreso, incredulo, mentre via via esso s’incupiva fino a che l’azzurro conosciuto quasi scomparve, inghiottito nelle sottili fessure che ora lo fissavano, infuriate.

“Che diavolo ci fai qui André?”.

 

Alla caduta del fulmine segue sempre l’assordante fragore del tuono…

André a quel punto fu costretto ad arretrare solo un poco, la porta spalancata, e Oscar che avanzava, l’incedere militaresco non tradiva la sorpresa di quell’incontro inaspettato.

Poi, d’istinto, André si fermò.

Sovrastava di poco la statura di Oscar e questo – solo lui poteva saperlo – le avrebbe tolto la visuale sulla stanza, irritandola…

Ma nemmeno facendo appello alla sua più intransigente testardaggine, Oscar sarebbe riuscita ad avanzare di un passo, perché se il coraggio e l’intraprendenza non le mancavano di certo, nella manciata di istanti che erano seguiti, Alain si era rialzato senza affrettarsi a rivestirsi e il compare Romanov, seguendo l’esempio del “capo”, si era sfilato gli stivali, lanciati dall’altra parte della stanza e con aria distaccata e sorniona si era tolto la camicia, esibendo un fisico dignitoso e possente…

E siccome nemmeno André aveva avuto il tempo di rivestirsi in maniera consona, di fatto, quello che si dispiegava davanti agli occhi del comandante...Oscar...una donna...appariva uno spettacolo decisamente poco decoroso, ma a tal punto efficace da raffreddare all’istante l’intraprendenza di lei e senza neppure ricorrere a metodi cruenti od eclatanti.

 

Nessuno si era messo sull’attenti e questo la diceva lunga sull’intento inconsciamente e silenziosamente comune nella testa dei quattro – André era immobile e la fissava interdetto forse tentando di trovare le parole per aggirare la sfuriata – di colpire e far arretrare colei che era entrata.

Il viso di Oscar assunse un’inevitabile seppur impercettibile sfumatura rosata, difficilmente attribuibile al passaggio dall’aria fredda a quella più tiepida delle stanze dell’hotel, mentre una luce severa scorreva nello sguardo, sorprendentemente declinata in una sorta di vortice caldo e assolutamente sconosciuto che l’assalì e la costrinse ad abbassare gli occhi, finendo inevitabilmente sul volto di André e su di lui che nel frattempo era riuscito a chiudere uno o due bottoni dell’uniforme.

Il respiro si fece più veloce e André vide Oscar quasi tremare non comprendendo se fosse per rabbia o paura.

Fu lui ad avanzare allora, verso di lei, fino a farla indietreggiare e poi uscire dalla stanza e lei, inspiegabilmente docile, seguì quel movimento, quasi fossero entrambi impegnati in una specie di danza silenziosa.

 

André si tirò dietro la porta e attese che Oscar si calmasse.

L’imbarazzante silenzio alle loro spalle si colmò delle risate sguaiate di Romanov e Voltaire, e nel corridoio dalla voce stridula e piagnucolosa della padrona dell’hotel che adesso vedeva manifestarsi davanti a se un pandemonio indescrivibile.

André tentò di mantenere la calma e si accorse che Oscar era stranamente silenziosa.

Non aveva detto più una parola o forse stava tentando semplicemente di trattenere la rabbia per ragionare con lucidità sul da farsi, anche se restava innegabile che quei cinque soldati – e André non faceva eccezione – avevano disobbedito alle consegne sugli alloggi.

Lui invece non riuscì proprio a restare distaccato.

 

“Stai bene?”.

“André vorresti spiegarmi che cosa ci fate voi qui?” – ruggì quasi lei – “Credo di ricordare che non fosse il posto che vi era stato assegnato…questo potrebbe costarvi un mese di cella d’isolamento!”.

“Monsieur sono desolata…” – balbettava intanto la donna dietro di loro.

“Madame prego…” – la calmò André – “Vedremo di risolvere questo problema…”.

“Oh oui, merci garçon…pensateci voi ve ne prego. Monsieur…voi…non sapevo…”.

“Comandante Jarjayes!” – puntualizzò Oscar in tono freddo, senza degnare la donna di uno sguardo.

“Cielo un comandante! Oh…lo immaginavo…monsieur sono spiacente…sono sommersa dalle incombenze e… e non ho avuto il tempo di spostare il vostro bagaglio”.

“Non è questo il punto madame!” – continuò Oscar sempre più irritata, mentre si sentì afferrata per un braccio da André che la tirò da una parte.

Lei gli pianto addosso uno sguardo furioso.

“Garçon!” – lo sbeffeggiò ironica.

“Lascia perdere…è una lunga storia. Non dovevo dar retta a quell’imbecille di…ma ormai siamo qui. Non avevamo idea che questa fosse la tua stanza…”.

“André, questo non c’entra nulla. Ti rendi conto che se al mio posto fosse arrivato un altro ufficiale voi sareste già accusati d’insubordinazione? Voi dovreste essere da un’altra parte. E se fossero arrivati ordini che vi riguardavano mi dici dove sarei venuta a cercarvi?”.

 

André si zittì, dinnanzi alle ovvie constatazioni, degne di un comandante…

Eppure in quel momento lui non sembrava nemmeno ascoltarle, non gli importava nulla di quelle stupide consegne.

Sapeva solo che l’aveva di fronte a se, bagnata, infreddolita, sfinita e lui doveva risolvere quel problema.

L’idea di ingaggiare una lotta, seppure verbale, con quegli idioti dei suoi compagni, che, tra l’altro, avrebbero sfidato volentieri l’autorità del loro comandante - “quella donna” come ormai erano soliti apostrofare Oscar - proprio non gli piaceva e del resto quella stanza pareva ormai un campo di battaglia…

Ci sarebbe voluto troppo tempo per renderla di nuovo utilizzabile.

Comunque sempre troppo di fronte alla pazienza di Oscar che non sembrava in grado di reggere oltre, in quelle condizioni.

Solo lui lo sapeva, solo lui poteva toglierla dai guai.

Oscar si appoggiò alla parete: “Non finisce qui” – mormorò a stento.

 

“Va bene, ma adesso lascia fare a me…” – disse André risoluto allontanandosi e cercando di riconquistare l’attenzione della padrona dell’hotel.

“Madame…vi invito a trovare una soluzione al più presto”.

“Ah beh…giovanotto…se non sbaglio siete stati voi a chiedere insistentemente una stanza nel mio hotel e adesso dovrei essere io a togliervi dai guai?”.

La donna cominciava ad alterarsi e André decise di cambiare tattica.

“No…ci mancherebbe…ma se solo voi aveste la bontà di accertarvi se ci fosse effettivamente un’altra stanza. Vedete…”.

 

André appoggiò delicatamente la mano sulla spalla della donna e si avvicinò al viso abbassando ulteriormente il tono della voce.

“L’ufficiale qui presente non è una persona che pretenda una stanza sontuosa o grande. Ne basterebbe una anche piccola ma almeno pulita e calda. Al resto ci penseremo noi. E le assicuro che questo guaio sarà presto dimenticato…”.

 

La bocca dell’altra imbronciata tremò un poco, fino a quando la donna dovette voltarsi perché si sentì tirata per la sottana da qualcuno.

Abbassò lo sguardo come pure fece André.

Tutti e due si trovarono puntati addosso due occhi chiari e grandi, color nocciola, un poco nascosti da una frangia scompigliata dall’indefinito color castano quasi biondo.

 

“Che c’è adesso Mòse!?” – chiese la donna spazientita.

Mòse? Che razza di nome è? – pensò André mentre osservava meglio quell’esserino magro ed ossuto dai lineamenti fini e la pelle chiarissima.

Le guance e il naso appena macchiati da sparute lentiggini e le labbra rosse e agitate che soffiavano per richiamare l’attenzione della padrona.

“Madame…prego…giù chiedono di voi. Ci sono altri ospiti e…” – balbettò il ragazzino che pareva assolutamente estraneo alla taglia e alla foggia degli indumenti che si portava addosso, una strana giacca marrone e calzoni verdi tenuti su, quasi appesi, alla cinta forse da una corda…

“Santo Cielo…Santo Cielo…” – gorgheggiò la padrona dell’hotel sempre più agitata – “Io ho un mucchio di questioni da risolvere e sono in mezzo a questa faccenda incresciosa…”.

“Madame…” – proseguì il bambino con una vocina flebile rivolto alla donna – “Se permettete…ecco…ci sarebbe…ci sarebbe quella piccola stanza su in cima alle scale”.

“Quella è solo una mansarda!” – lo rimproverò l’altra.

“Ma l’abbiamo ridipinta da poco. E’ pulita e c’è anche il camino…anche se non è grande…” – insistette il moccioso sicuro che se fosse riuscito a risolvere il problema forse ne avrebbe ricavato qualche vantaggio.

 

L’età non era facilmente decifrabile ma i modi ed il linguaggio spiccio e diretto facevano intendere che quel piccoletto la sapesse lunga su come far proprie decisioni e problemi altrui e guadagnare così consensi sia con la padrona, sia con gli estranei.

Un modo di fare arguto, figlio della dolente miseria in cui vivevano i tanti ragazzini che abitavano i bassifondi di Parigi e che presto, molto presto per la loro età, erano costretti a diventare furbi ed intraprendenti per poter mangiare e così sopravvivere.

Il moccioso si era in messo in mezzo ma la sua invadenza non sembrava sgradita alla padrona che aveva intravisto nelle parole dell’uomo che si trovava di fronte unite a quelle del moccioso un compromesso dignitoso per togliersi dai guai.

 

“Non dire sciocchezze Mòse…” – si limitò ad obiettare la donna.

“No…no…aspettate” – intervenne André – “Questa stanza andrebbe bene…”.

“Ma si trova lassù, in cima alle scale…la usiamo per stendere il bucato…”.

“E’ pulita?” – chiese André animato da nuova foga.

“Si…”.

“Può essere acceso un piccolo fuoco e portata dell’acqua calda?”.

“Ma sì, certo!”.

“Madame, fate in modo che la stanza sia pronta subito e vi assicuro che in poco tempo ognuno di noi potrà tornare ai propri impegni. Andate vi prego…”.

“Ma io…”.

 

André fece cenno con la mano alla donna di andare e l’altra si profuse in una specie di goffo inchino e poi scomparve tirandosi dietro il ragazzetto invadente che in quel caso pareva davvero aver trovato la soluzione a quell’increscioso equivoco tra l’altro togliendo provvidenzialmente dai pasticci Madame Velien.

André tirò un respiro più fondo, stirandosi forse per ridare tono ai muscoli ed affrontare l’ostacolo più duro.

 

Si voltò verso Oscar che nel frattempo aveva ripreso il suo consueto respiro nel tentativo di riordinare le idee.

Pensava André di riuscire nell’intento di calmarla ma la porta della stanza in cui si erano accampati Alain e gli altri si aprì all’improvviso e il giovane se ne uscì a torso nudo per controllare la situazione.

Oscar non potè che sobbalzare a quella vista e indietreggiare di nuovo e André imprecò a sua volta lanciando un’occhiata fulminea accompagnata dal sonoro appellativo di idiota.

Alain stava sfidando la sorte ed evidentemente non aveva ancora capito con chi aveva a che fare.

 

“Ehi?” – borbottò il soldato mentre vide André prendere sottobraccio Oscar e trascinarla via.

“Razza di idioti!” – imprecò André di nuovo poi urlando all’indirizzo dell’altro rimasto sulla porta - “Fai portare di sopra quel baule!”.

“Questa mossa costerà cara a tutti quanti!” – sentenziò Oscar seguendo André quasi a forza.

“Non credere che non lo sappia” – le replicò lui per niente intimorito – “Ma non era il caso che tu restassi…”.

“Credi che non abbia capito che quei bellimbusti lo stanno facendo apposta?” – gli puntualizzò lei piccata.

“Apposta o no adesso non è il momento di addentrarsi in certi particolari. Lo faccio per mia nonna sai…” – biascicò André mentre saliva le scale tirandosela dietro.

“Cosa c’entra tua nonna adesso?” – chiese lei ironica.

“Mia nonna mi ha fatto giurare che ti avrei tenuta d’occhio. Volente o no, in questo momento devo ubbidire solo a lei. E’ da questa mattina presto che sei fuori…è tardi e lo vedo che sei stanca. Non m’importa se sei furiosa per questo scambio di alloggi, ma se mia nonna venisse a sapere che non ho mosso un dito per aiutarti - per lei tu sei Oscar e basta…la sua bambina - beh non mi salverei da mia nonna neanche se mi ci chiudessi tu in cella d’isolamento! Se poi domani vorrai farlo…noi siamo tutti qui e resteremo qui…sei il comandante e potrai prendere tutti i provvedimenti che vuoi”.

“Sei un idiota André!”.

“Libera di crederlo…”.

 

Un pensiero veloce scorse nella mente mentre Oscar era andata di nuovo al proprio polso chiuso nella mano di André.

 

E per te?

Chi sono io André per te?

 

Quell’amore, l’amore di André, riversato addosso a lei, così forte e deciso, entrato nella sua vita con la stessa forza di un fulmine che squarcia il cielo nero, ora pareva non farle più paura.

Non tanta quanta l’idea che forse lui…

André, stai facendo tutto questo solo per nanny?

 

Pochi gradini e tutti e due raggiunsero la sommità della scala.

Un lungo corridoio scuro si apriva davanti ma da li a qualche istante una porta sulla destra si aprì e ne uscì il ragazzino artefice dell’evoluzione di quella incresciosa vicenda.

Un candelabro in mano ravvivò l’oscurità e il ragazzino apparve per quello che realmente era ossia poco più che un bambino.

“Oh…monsieur…la stanza è pronta. Vi farò portare la legna per il camino…”.

“E dell’acqua” – proseguì André – “Calda!”.

“Oui monsieur…c’è altro?”.

“No…” – rispose Oscar stancamente – “Grazie”.

 

Il bambino fece un piccolo inchino e corse via.

André si fermò nel corridoio mentre Oscar spinse piano l’uscio ed entrò lentamente nella stanza.

Era effettivamente una piccola mansarda con il soffitto spiovente nel quale era incastonata una finestra chiusa con un chiavistello.

Le pareti non erano altissime, ma parevano dipinte da poco e anche il camino era stato ripulito e una fiammella leggera stava intaccando alcuni legni appena accesi.

C’erano un tavolo ed un letto, quasi a raso terra.

Anche le lenzuola sembravano di bucato e almeno a prima vista non parevano essere infestate dai soliti insetti che popolavano la maggior parte degli hotel di Parigi.

Sul tavolo un’altra candela e a lato una brocca e un piccolo catino per lavarsi…

 

Un colpo secco fece sobbalzare di nuovo Oscar.

E anche André, entrato silenziosamente dietro di lei.

Alain si era presentato infliggendo alla povera porta un calcio sonoro per riuscire ad entrare e portarsi dietro il famigerato baule.

Il giovane si era rivestito e sembrava pronto per una serata indimenticabile.

 

“Comandate…il “vostro baule”!” – blaterò con tono assolutamente canzonatorio.

André pensò che Alain dovesse essere impazzito nell’arco di quella giornata. Non poteva credere che l’amico stesse sfidando la sorte così incoscientemente e ripetutamente.

“Vattene!” – gli bisbigliò di sottecchi, accennando un gesto secco con la testa ed invitando l’altro a lasciare immediatamente quella stanza.

Nemmeno André sarebbe riuscito a trattenere oltre la rabbia di Oscar.

E le maniere rudi e niente affatto amichevoli che i suoi soldati le stavano riservando non deponevano certo ad ammansirla.

“Oh si certo!” – mormorò Alain con un sorriso sornione – “Però mi devi un favore amico. E quando ti ricapita un’occasione simile!”.

 

André pregò che Oscar non avesse sentito nulla.

Ed evidentemente venne esaudito perché Alain fece il saluto militare e se ne andò dopo che Oscar l’aveva ringraziato, seppur con un filo di voce.

“Grazie André puoi andare anche tu”.

 

Lei fece alcuni passi in mezzo alla stanza.

Lo spazio non era ampio ma Oscar non si mosse più, evidentemente in attesa di restare sola.

I vestiti bagnati appiccicati addosso, l’odore disgustoso dell’obitorio, la vibrazione metallica e sinistra della grata arrugginita, il sentore d’aver conosciuto una forza ignota e per questo pericolosa, tutto l’aveva disorientata e lei doveva assolutamente recuperare un minimo di lucidità e di controllo della situazione.

Ma Andrè era li con lei, come sempre, come solo lui sapeva fare, anche se nemmeno sapeva come accadesse, sempre.

 

“Hai mangiato qualcosa?” – le chiese lui quasi non sapesse più dove si trovava e nemmeno quali fossero i rispettivi ruoli che le loro vite avevano assunto.

Oscar non rispose.

Per André quella era una risposta.

 

“Non chiudere la porta a chiave…” - replicò lui sgusciando via silenziosamente.

I pugni chiusi e la mascella serrata, Oscar si sfilò il mantello che lasciò cadere a terra.

Le lingue del fuoco ora più intenso si riversarono sui ricami della sua uniforme emanando tenui riflessi che ben presto scomparvero, mentre anche quell’indumento finiva a terra.

 

Un tocco alla porta e di nuovo ricomparve il bambino per portare altra legna per il fuoco e due secchi di acqua tiepida e un piccolo catino che appese sul camino.

“Può bastare?” – chiese timidamente.

“Grazie, direi di si…come ti chiami?”.

“Mòse, monsieur…”.

“E’ un nome molto particolare…importante direi…” – disse Oscar voltandosi ad osservare meglio quello strano ragazzino.

 

Ora che aveva recuperato un minimo di calma si accorse che effettivamente quel bambino non poteva avere più di nove o dieci anni…

Ma era talmente magro e malmesso seppure nei lineamenti del viso, nel gesticolare lento e sinuoso c’era qualcosa di sorprendente, che Oscar non riusciva ad interpretare.

Lo sguardo era diretto e severo, non traspariva malizia o incertezza, ma al tempo stesso quel moccioso pareva averne viste già tante, nonostante fosse così giovane.

 

Oscar estrasse dalla giacca alcune monete, quattro soldi, e le porse al bambino.

“Sei stato molto gentile, davvero”.

L’altro guardò i piccoli pezzi di metallo nella mano e i suoi occhi s’illuminarono.

 “Monsieur…questo denaro è troppo per me. Se volete…se volete posso portare via i vostri indumenti e farli lavare…”.

“No!” – disse Oscar lanciando uno sguardo severo verso l’altro che indietreggiò colpito dalla foga della risposta, sussultando…

 

Lo sguardo si rabbuiò come se l’istintivo moto di fiducia che si era insinuato verso il nuovo ospite fosse stato improvvisamente stravolto dai modi rudi di quest’ultimo.

Lei se ne accorse e si pentì subito del tono irruento della propria voce.

“No…” – ripeté con tono più morbido – “Domattina verrà una persona a ritirare la mia biancheria. Ecco potresti farmi la gentilezza di accompagnarla in questa stanza, nel caso io non ci fossi. Ma non toccare i miei indumenti. Preferisco così”.

“Come volete monsieur…allora gli stivali…posso pulire quelli…”.

 

Un sospiro e Oscar annuì con la testa.

“Va bene…ma domattina dovranno essere in ordine…”.

“Non temete monsieur!” – trillò il ragazzino che pareva aver recuperato un poco di coraggio.

 

Afferrò gli stivali ma poi si mantenne immobile, dondolandosi un poco sulle punte dei piedi, le dita delle mani strette e torturate una sull’altra e lo sguardo basso.

Pareva in attesa, ma ormai non c’erano altri ordini o parole da spendere tra loro.

Non certo per quello che Oscar s’immaginava.

“Che altro c’è?” – chiese lei senza osservarlo, iniziando ad aprire il baule da dove estrasse un plico di fogli e un piccolo calamaio.

“Ecco…monsieur…mi chiedevo…”.

 

L’esitazione la costrinse a risollevare lo sguardo, mentre appoggiava i fogli sul tavolo squadrando l’altro con aria incuriosita ma severa.

E la voce rimase li inchiodata dalle parole che il bambino pronunciò, gli occhi ebbero un guizzo d’incredulità, e per poco non fu un’imprecazione quella che le uscì dalle labbra…

“Mi chiedevo…ecco…se non aveste bisogno di un po’ di compagnia?” – disse il bambino quasi sottovoce.

All’istante Oscar s’immaginò o meglio sperò di non aver compreso…

Ma il sangue che si gelava nelle vene le riportava l’istintiva perfetta comprensione del tenore della proposta dell’altro…

 

E poi si trovava a Parigi e per quanto quella città ne avesse mostrati mille di volti, e per quanto nemmeno la stessa corte di Versailles avesse nomea di luogo immacolato e distante da certe pratiche, lei non si sarebbe dovuta stupire davvero…

Lo sapeva che spesso l’esistenza dei più poveri e disgraziati e affamati era orchestrata da comportamenti e abitudini più o meno disdicevoli che dir si volesse…

E che quelli che bazzicavano nei bassifondi della città per riuscire a mangiare e sopravvivere alla fine si ritrovavano a percorre strade non sempre limpide di cui sapevano sapientemente approfittare quelli che invece appartenevano alle classi più agiate e ricche capaci d’insinuarsi in quella miseria per ottenere ciò che volevano…

Persino a lei, tantissimi anni prima, la giovane Rosalie si era presentata con una proposta che semplicemente l’aveva fatta ridere, dato che forse la giovane non aveva nemmeno compreso che lei fosse una donna…

Ma dannazione…

Quello che si trovava davanti era poco più che un bambino e le sue parole inequivocabili non avrebbero mai potuto suscitare alcuna ilarità, solo la domanda atroce di come fosse possibile che quel moccioso si fosse ridotto a vendersi per qualche soldo.

Non ci riusciva Oscar ad accettare quello scenario…

D’istinto pensò che quella non potesse essere una prassi e che un bambino di quell’età non potesse prestarsi a simili azioni.

Non poteva essere così e sperò, nel profondo, che l’idea fosse stata di qualcun altro, un protettore, la padrona dell’hotel…

Qualsiasi spiegazione ma non quella…

 

“No! Direi che non è assolutamente il caso. E tu non dovresti prestarti a simili gesti. Chi è stato a dirti di fare queste cose? La padrona dell’hotel…o chi altri? O è una tua idea?”.

Oscar si parò davanti all’altro.

L’inconscia preoccupazione per la sorte del piccolo venne inghiottita dallo sguardo buio e dal tono della voce, quasi minaccioso, e dal fuoco di fila delle domande.

 

Mòse si spaventò.

Pensò di essersi sbagliato, di aver equivocato il gesto dell’ufficiale, non riuscendo più a comprendere le intenzioni di quel tizio tanto gentile e generoso che però adesso pareva veramente arrabbiato.

Il dubbio di aver toccato corde sbagliate…

Il dubbio che adesso quello l’avrebbe arrestato…

Non era consentito ai bambini offrirsi così, come una merce…

C’erano delle regole e lui lo sapeva bene che doveva stare attento per non incappare in qualche ufficiale di polizia troppo ligio al suo dovere…

Forse allora si era sbagliato e quello l’avrebbe accusato e arrestato…

 

“No…monsieur…non volevo offendervi…”- balbettò tentando di sviare il discorso.

Oscar cercò di addomesticare il tono della voce.

“Non hai capito. Non è bene che tu faccia certi discorsi…”.

“Io…” – arrossì l’altro iniziando ad indietreggiare.

Oscar non riuscì a comprendere se il bambino si fosse effettivamente spaventato oppure vergognato di ciò che aveva proposto.

Il suo disorientamento era palpabile.

“Non avere paura…non voglio farti del male…”.

Allungò il braccio per afferrarlo, ma l’altro con un balzo fu sulla porta, l’aprì e senza dire una parola scomparve nel corridoio buio.

§§§

Gerard sollevò il capo quando André si fiondò nella stanza afferrando il mantello.

Gli altri erano già scomparsi mentre il giovane aveva preferito restare.

“Allora?” – chiese Gerard incerto.

“Per ora pare che il guaio sia risolto ma devo uscire per cercare qualcosa da mangiare. Oscar…volevo dire il comandante…credo non abbia neppure cenato…” – rispose André affrettandosi a vestirsi.

“Ci penso io!” – esordì Gerard infilandosi il mantello – “Vieni con me. Conosco questo quartiere. Ci sono nato e a quest’ora non troveresti nulla. Ma c’è un mio conoscente che inizia a preparare il pane piuttosto presto”.

André rimase sorpreso della solerzia di Gerard, l’unico che avesse dimostrato un minimo di solidarietà al nuovo comandante.

“E’ un modo come un altro per sdebitarmi per quello che avete fatto per me!” – proseguì il giovane mentre, in strada, imboccavano una viuzza laterale all’hotel, immergendosi in una coltre scura di nebbia e vapore.

“Come?”.

“Ma sì, se non fosse stato per il comandante io non sarei qui in questo momento, ma sotto due metri di terra. Non potrò mai dimenticare che è stata lei ad intercedere per me, dopo che mi avevano scoperto a vendere il fucile. E anche tu…si…anche tu devi aver fatto la tua parte…”.

“Io non ho fatto nulla, credimi”.

“Io non ci credo. Comunque il comandante…volevo dire…lei è il miglior comandante che ci sia mai capitato. Anche gli altri la pensano come me ma non lo ammetteranno mai…ancora non si fidano…”.

 

André si stupì delle parole dell’altro…

Esse cozzavano con la quotidiana avversione che i soldati mostravano verso il comandante, primo fra tutti...

“E Alain?”.

“Oh...certo...credo che anche lui se ne stia convincendo. Ma sai…è sempre stato sospettoso… lui davvero non si fida di nessuno. Ecco siamo arrivati…”.

André sollevò lo sguardo anche se non ebbe bisogno di comprendere dove si trovavano.

 

Un fragrante profumo di pane invase le narici e i sensi insieme al calore dei forni accesi…

I sentori conosciuti lo investirono quando varcarono la soglia stretta del panificio, ed inevitabilmente gli riportarono alla mente la cucina di casa Jarjayes, dove lui era solito ritrovare sua nonna per la colazione del mattino.

E anche se André si alzava presto non era insolito che Oscar li raggiungesse e si fermasse con loro, dato che i genitori non erano soliti consumare i pasti con le figlie, men che meno con lei.

André riuscì a distinguere anche il profumo della pasta frolla e quello più dolce delle composte di frutta.

La trattativa con il panettiere fu rapida e André si ritrovò di nuovo in strada con il suo prezioso e dolce bottino.

 

“Credi che possa essere di gradimento del comandante?” – chiese Gerard incerto.

“Non ho alcun dubbio!” – sentenziò André con un sorriso – “Direi che vista l’ora non potevamo trovare di meglio”.

“So…so…sono contento” – balbettò l’altro felice.

 

I passi di entrambi si persero nel selciato ancora impregnato d’acqua e fango.

Avvolti nel silenzio André e Gerard camminavano velocemente.

“La conosci da molto tempo?” – chiese ad un certo punto Gerard.

André comprese a chi si riferisse il suo compagno di ventura e fece un semplice cenno con la testa.

“E…” – continuò l’altro quasi ridendo – “Ed è sempre stata così il comandante?”.

“Così come?”.

“Ma sì severa e attenta e…triste…”.

“Triste?” – replicò André incredulo – “Davvero credi che il comandante sia triste?”.

“Sa…sai…io…io l’ho osservata…o…beh…ecco…non solo io…anche gli altri l’hanno fatto...e a tutti è sembrata strana la sua durezza. E´….è molto bella…ma sul viso c’è...si, lei sembra triste…però quando guarda te...ecco allora sembra più serena...credo che nemmeno lei lo sappia…”.

 

André si arrestò di colpo guardando Gerard.

“Ma che intendi dire?”.

“So…” – Gerard tossicchiò incerto – “So del tuo problema André. Hai difficoltà a vedere bene. Beh forse allora è per questo che tu…tu non te ne sei accorto… ma io…e anche Alain…abbiamo notato che il comandante ti osserva spesso. Forse per te è più difficile comprenderlo, ma ti assicuro che è così. Anche questa sera, quando è arrivata alla Conciergerie, ti ha cercato, con lo sguardo e per qualche istante è rimasta ad osservarti, anche se eri lontano. Ma poi i suoi occhi sono tornati ad incupirsi e anche lei…anche lei è tornata ad essere triste…e allora mi sono chiesto se è sempre stata così?”.

 

Andrè rimase sorpreso da quelle rivelazioni.

Anche lui cercava Oscar…

Sempre…

Sperava…

 

Sperava che lei, prima o poi, si sarebbe decisa ad uscire dall’armatura inflessibile, solida, forgiata con il metallo più resistente nella quale era rinchiusa…

André viveva di ricordi, ogni istante…

Quelli puliti, quelli che non facevano paura, quelli che avevano colmato le loro esistenze, la loro “non vita”…

E sperava che essi riemergessero dal profondo e avessero la tempra di riunire le loro esistenze…

 

Si chiese, allora, se anche lei vivesse in quel modo…

Lui ci stava affondando, lentamente, nell’agonia di quella vita mancata e dispersa.

Si chiese se il suo stramaledetto gesto avesse costretto anche lei a vivere così.

A vivere solo di ricordi…

Non se lo sarebbe mai perdonato.

 

Dio se almeno mi odiassi…

Se almeno questo fosse il sentimento che ci lega.

Sarebbe qualcosa, almeno…

Qualcosa più del nulla.

Se almeno tu mi odiassi…

E invece ho finito per odiare me stesso.

Ho distrutto quello che c’era tra noi.

Che in fondo era nulla, perché altrimenti non avrei scorto la paura nei tuoi occhi, mentre mi avvicinavo a te e non vedevo più nulla…

E le mie mani si muovevano spinte dall’unico desiderio di averti, senza chiederti più nulla.

Senza aspettare, come ho fatto per tutta la vita.

Ti ho spinto a credere che avrei potuto farti del male…

E adesso non so nemmeno se saresti mai più capace di fidarti di me….

Ancora.

Dio…

Dio non è solo questo.

Non puoi amarmi…

Sarebbe già qualcosa.

Dio non è questo...

Tu non mi ami.

Non senti nulla, non provi nulla…

Allora…

Allora quanto vorrei che tu amassi Oscar…

Quanto vorrei che tu comprendessi ciò che accade nell’esistenza di un essere umano quando riceve la grazia di ascoltare l’impeto dell’amore.

Un impeto talmente potente ed assoluto da far perdere la ragione…

Impazziresti…

E capiresti cosa significa vivere, immersa dentro te stessa, ascoltando te stessa…

Non puoi o non vuoi amare?

Non puoi o non vuoi amarmi?

 

I pensieri di André divennero impetuosi e lui fu costretto a tornare prepotentemente al punto di partenza.

Il proprio errore.

Quello era l’ostacolo e la chiave della sua esistenza.

Preferiva pensare fosse a causa di quello che Oscar si era allontanata.

Faceva meno male il pensiero che lei avesse avuto paura…

Faceva meno male del pensiero, terribile, che lei non lo avrebbe mai amato e basta.

Se almeno mi odiassi - si ripeteva allora, quando, nel sonno, riemergeva l’immagine di lei, confusa nelle prime luci del mattino, quasi che la mente di André anticipasse di poco l’istante in cui anche la vista – almeno per quel che essa ancora gli consentiva – avrebbe individuato i contorni del volto di lei, reali seppure sfuocati, ma conosciuti perché impressi nella mente.

Se almeno mi odiassi…

 

Le parole di Gerard si piantarono nella testa imponendo al respiro di acquietarsi mentre nuove domande invece lo sollevavano in un moto disarmonico colmo di dubbi…

Un sospiro profondo…

Perchè...

Cosa ti spinge a cercarmi e ad osservarmi?

Rassegnazione o pietà verso di me?

Desiderio di tornare al passato o di allontanare quel passato da te stessa?

 

La strada verso l’hotel costeggiava i muretti e le cancellate delle case prospicienti.

André alzò lo sguardo e intravide sul muro di cinta di un cortile un roseto ormai sfiorito, le poche foglie ingiallite e spente, i rami abbarbicati tra i mattoni sbrecciati e rossi, piegati dalla pioggia come un’enorme foresta macabra ed inavvicinabile.

 

Si allungò un poco e staccò un fiore, una rosa bianca striata per il freddo, gonfia, d’acqua, unica rimasta a sfidare la stagione ormai morta.

L’agitò dolcemente per lasciar scorrere via l’acqua e renderla presentabile.

Poi aprì il sacchetto di carta nel quale erano stati riposti i croissants caldi e una generosa fetta di crostata e appoggiò delicatamente la rosa, richiudendo poi il sacchetto.

Lo porse a Gerard insieme alla bottiglia di sidro che erano riusciti a recuperare.

 

“Vai tu a portare tutto al comandante” – disse piano.

“Ma no. Io non posso. Non…”.

“Questa è opera tua ed è giusto che il tuo comandante lo sappia. E poi preferisco così. E’ meglio per tutti” – replicò André mestamente.

Il problema della stanza era in parte risolto, Andrè non avrebbe avuto ragione alcuna per tornare da lei.

“No…André…vai tu…” – insistette Gerard.

“Sai...si...credo che tu abbia ragione..." - mormorò l´altro alzando lo sguardo al cielo in tono di rassegnata malinconia.

"Be...bene...allora vai tu".

"No...non intendevo questo. Mi riferivo alla tua domanda. Si...hai ragione...lei...lei dovrebbe sorridere più spesso...quando sorrideva...” – continuò André quasi non stesse più parlando con il soldato – “Credimi…lei…lei sa essere generosa. E quando sorride…”.

Le parole morirono sulle labbra.

Rivederla…

Dio quanto avrebbe voluto.

Ma doveva pagare per il suo errore e quello era il prezzo.

Infliggere a se stesso l’ennesima tortura di rivederla e sentirla così distante…

Forse era pari alla tortura di non vederla affatto…

Per non percepire la sua paura.

Era meglio per tutti che fosse stato Gerard a tornare da lei…

 

Quando Oscar aprì la porta e si trovò di fronte il soldato Lasalle ebbe un moto di sorpresa, anche se si mantenne impassibile.

“Spero sia di vostro gradimento comandante” – bisbigliò l’altro porgendo il sacchetto.

Oscar sospirò appoggiando l’involucro sulla tavola.

Era riuscita finalmente a cambiarsi e a lavarsi con l’acqua calda e questo le era bastato per tornare un poco lucida e dedicarsi così al nuovo incarico che Bouillè le aveva affidato.

Sul piccolo tavolo erano sparsi i fogli dei turni da preparare per il giorno dopo.

 

“Ti ringrazio…”.

L’altro esitò ad uscire e Oscar si voltò ad osservarlo.

“Comandante…scusate…ma volevo dirvi che…che…che fuori dalla porta c’è un ragazzino…” – balbettò Lasalle abbassando lo sguardo.

“Cosa?”.

 

Oscar si diresse verso la porta e sporgendosi intravide verso il fondo del corridoio la sagoma appallottolata di quello che sembrava un mucchietto di stracci, abbandonati lì, dimenticati forse in attesa d´essere bruciati nel camino.

Il corridoio era immerso in una corrente d’aria fredda. Era scuro e vuoto, occupato solo da ceste di vimini abbandonate e qualche mobile corrotto da tarli e polvere.

“Ma che ci fa lì a terra?” – mormorò piano avanzando verso quello strano ammasso informe.

S’inchinò ed effettivamente riconobbe il visetto del bambino, sdraiato a terra, raggomitolato.

Dormiva.

Accanto, gli stivali che il ragazzino si era incaricato di pulire.

Erano perfettamente lucidi…

Gerard si avvicinò.

“Possibile che questo ragazzino venga lasciato qui fuori a dormire?” – si chiese Oscar tentando di capire cosa stesse accadendo.

Gerard le corse in aiuto.

“Posso domandarvi una cosa, comandante?”.

 

Oscar, in ginocchio, alzò lo sguardo in segno affermativo.

“Avete per caso dato del denaro a questo moccioso?”.

“Si” – rispose lei perplessa – “Per ringraziarlo…è stato lui ad avere l’idea della mansarda, altrimenti io sarei ancora…”.

Oscar non proseguì, ma appoggiò una mano sulla spalla del ragazzino che emise un mugolio di stanchezza.

“Beh, se me lo permettete posso dirvi che avete sbagliato”.

“Perché?”.

Oscar era sempre più perplessa.

“Te…te…temo che questo genere di bambini la sappia lunga sul modo di guadagnare denaro. Ha visto che voi siete stata generosa e avrà pensato che volevate “stare” con lui…”.

“Stare con lui? Gerard ma che ti viene in mente?”.

 

Oscar si rialzò squadrando il soldato con aria minacciosa.

Certe insinuazioni erano fuori luogo e lei non avrebbe tollerato simili discorsi.

Né sul suo conto, né sul conto di nessun altro…

Una questione era conoscere certe abitudini e una questione era condividerle…

“Vi chiedo perdono comandante…volevo dire che a Parigi…anche i bambini purtroppo per sopravvivere devono imparare presto a conoscere certi espedienti. I più fortunati vengono presi come garzoni o commessi al mercato. Ma devono comunque sgobbare dalla mattina alla sera e se non c’è nessuno che si occupa di loro finiscono per perdersi…ci sono gli orfanotrofi certo…ma pare che siano anche peggio delle strade di Parigi”.

Oscar si ammutolì a quella ricostruzione.

Non era certa di poter accettare con noncuranza quello scenario che ebbe il potere di colpirla come un pugno nello stomaco.

Pensava di conoscere abbastanza del mondo e delle sue brutture.

Anche se il pane non mancava, da quando aveva messo piede a Parigi, si era resa conto che certi quartieri assomigliavano più ad antri oscuri e nascosti, capaci di ingoiare chiunque non avesse i mezzi o la fortuna o la scaltrezza di sfuggire alla miseria ed alla fame.

Tutto acquistava uno spessore tragicamente autentico e lei faticava a ragionare in termini di povertà, fame, miseria, abbandono, sporcizia, malattie che costringevano a cedere e a trasgredire alle regole di esistenze illuminate e conformiste come la sua…

Persino da parte dei bambini…

 

Oscar tirò un sospiro.

“Che ne sarà di questo bambino?” – si chiese parlando a voce bassa.

Lo chiedeva a se stessa ma fu Gerard a rispondere in tono mesto e rassegnato.

“Se non è riuscito ad ottenere qualcosa da voi è probabile che prima di domattina ci proverà con qualcun altro. E’ triste. Volete che lo faccia andare via?”.

“Basta così Lasalle” – lo interruppe Oscar – “No, no…tu vai pure…”.

Il soldato fece il saluto militare, cercando di non sbattere i tacchi troppo rumorosamente.

“Comunque…se mi permettete…”.

Il silenzio del comandante lo indusse a proseguire.

“Io sono cresciuto in un quartiere molto povero e…ne ho visti tanti di bambini sparire nel nulla. Forse…il fatto che questo sia rimasto qui fuori…fuori dalla vostra stanza intendo…forse ha compreso che di voi può fidarsi…”.

“Ho capito Gerard” – balbettò Oscar quasi soffocata.

 

Un senso d’impotenza misto a rabbia e disgusto si prese lo stomaco e la gola e i muscoli.

I passi silenziosi e cadenzati di Gerard a poco a poco si persero nel corridoio buio e lei si chiese cosa ne avrebbe fatto di quel bambino e della propria insulsa superbia che disprezzava sdegnosamente chiunque fosse portato a cedere a certe pratiche.

Non le accettava ma neppure poteva ignorarne l’esistenza o semplicemente voltarsi dall’altra parte, facendo finta di non conoscere le cause.

Si chinò e senza troppa fatica prese in braccio il bambino.

Era leggero come una piuma perso in quei vestiti troppo grandi per lui.

La pelle era chiara, a tratti nascosta da uno strato di sporcizia opaco e polveroso...

L’odore che emanava quel corpicino, uno strano sentore tra pesce marcio misto a fango e terra e chissà cos’altro era decisamente distante dall’esperienza che Oscar aveva dei bambini.

Non ci aveva fatto caso quando lo aveva intravisto poco prima, forse perché lei stessa era troppo esausta per accorgersi di quel mondo oscuro e viscoso in cui si agitavano esistenze precarie e deboli come quella di quel fanciullo.

Entrò nella stanza e appoggiò il piccolo nel letto.

Lui si riebbe e la guardò fissandola con i suoi occhi chiari e lucidi.

Oscar non parlò.

Il bambino prima tirò un respiro profondo, quasi stesse cercando di farsi coraggio per compiere un gesto che sapeva di dover fare, come di consuetudine, per ottenere ciò che gli aveva imposto di ottenere la fame e la miseria della sua condizione…

Poi allungò una mano appoggiandola sulla guancia di lei…

Lo sguardo si abbassò.

Un gesto quasi meccanico, forse ripetuto chissà quante volte, eppure terribilmente distante dalle movenze di un bambino così piccolo, almeno per quanto quel gesto poteva presagire.

Oscar afferrò il polso del bambino, staccando la mano dal proprio viso.

“No…” – gli disse piano – “No”.

L’altro sgranò gli occhi non comprendendo il motivo di quel rifiuto.

Era stato portato dentro la camera, era stato adagiato sul letto, era quindi probabile che il rituale fosse lo stesso di sempre.

L’alone castano chiaro dello sguardo s’illuminò e il bambino strinse le dita e serrò la mascella.

“Monsieur…” – mormorò piano – “Non fatemi male…non fatemi male…”.

Se Oscar fosse stata colpita in pieno viso da un pugno probabilmente avrebbe percepito un dolore meno intenso.

“No…non preoccuparti…io…io ho fame…vuoi mangiare con me? Ti va di farmi compagnia?” – mormorò lei, incredula ed incerta, tentando di cambiare discorso.

Cinicamente lo impose a stessa, perché faticava ad accettare ciò che aveva appena sentito.

Il bambino sorpreso a sua volta annuì senza più parlare.

Lei si alzò e lui si mise a sedere sul letto.

I piedi sbucavano dai calzoni troppo larghi, così come le braccia sottili dalla giacca troppo grande mentre il respiro intenso si stava calmando a poco a poco.

Oscar si diresse verso la brocca e la porse al bambino indicandogli di lavarsi le mani.

L’altro aggrottò le sopracciglia, quasi non capisse il senso di quella richiesta.

Per le sue abitudini, quando si trattava di mangiare, non era il caso di perdere tempo in simili lungaggini.

Ma se così gli veniva ordinato di fare, allora l’avrebbe fatto.

Mentre lo osservava Oscar si rammentò che André non era più tornato.

Una sottile delusione le corse addosso.

Poi strinse i pugni e si decise ad aprire il sacchetto.

Il profumo dolce dei croissants caldi si sparse nella stanza.

Insieme ad esso Oscar riconobbe quello intenso e fresco della rosa appoggiata delicatamente sopra.

Estrasse il fiore immergendo la mente nel suo profumo.

 

No…

André c’era – si disse.

Anche se non era li, con lei.

Anche se non c’era bisogno per loro di parlare, scontrarsi, discutere, vedersi.

André era con lei.

Alla fine c’era ed uno strano senso di nostalgia la invase mentre osservava quel bambino divorare tutto ciò che Lasalle aveva portato.

Lei se ne riservò solo una piccola parte, insieme al sidro, a scaldare lo stomaco e annebbiare un poco la mente, quel tanto che serviva a sciogliere la resistenza dei muscoli.

Oscar comprese che quel gesto era opera di André.

Non ne aveva alcun dubbio.

Nonostante tutto quello che era accaduto tra loro.

Nonostante tutto quello che non era accaduto tra loro.

Oscar si scosse al pensiero che André l’amava…

In quel turbine di giornate faticose, intense e dense…

In quella vita che lei aveva scelto, buona solo per consentirle di mantenersi distante da tutto...

In quella stessa vita che adesso le aveva messo sotto gli occhi quelli chiusi e leggeri di quella strana creatura, così inconsueta ed incomprensibile…

 

André l’amava…

Oscar ascoltò quel pensiero divenire assoluto tanto da fare male.

Un dolore sordo la percorse mescolato al sangue che scorreva ed alla sensazione che nulla sarebbe mai tornato come prima.

Forse nemmeno lo voleva.

Si chiese quale direzione avrebbe mai potuto prendere la sua vita?

E se sarebbe mai stata capace di amare?

In fondo si disse che era stata lei a distruggere tutto ciò che c’era tra loro.

Non André…

Non lui che viveva, amava e percepiva la vita e lei e loro.

Era stata lei a distruggere ciò che loro erano stati…

Lei che, alla fine di tutto, non aveva saputo trovare altra risposta che fuggire da lui.

E adesso…

Adesso a lei pareva di dover fuggire persino da se stessa.

Era questo che intendeva André?

Adesso Oscar non era più certa di avere la forza di riuscire a ricostruire quel poco che restava di loro.

E se adesso fosse stato lui a non accettarla più?

E se adesso fosse stato André a non volere più sapere nulla di lei?

Aggiungere un altro dolore e un altro rifiuto…

 

La pioggia aveva ripreso a scendere incessante e rumorosa.

Oscar decise che non aveva senso torturare se stessa oltre ciò che il suo fisico avrebbe mai potuto consentirle.

Con movimenti lenti superò il corpo del bambino che ora si era addormentato, senza sfiorarlo e si rannicchiò nell’angolo libero del letto.

Osservò le spalle di quello strano ospite, così vicino eppure così distante dalla sua vita.

Lo coprì con la coperta e poi anche lei sfinita si addormentò.

 

 

 

 

 

 

 

     


                     





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