FanFiction Lady Oscar | Alter ego di Aaeru | FanFiction Zone

 

  Alter ego

         

 

  

  

  

  

Alter ego ●●●●○ (Letta 575 volte)

di Aaeru 

3 capitoli (in corso) - 7 commenti - 1 seguace - Per tutti

    

 

Sezione:

Anime e MangaLady Oscar

Genere:

Introspettivo - Drammatico - Romantico

Annotazioni:

What If

Protagonisti:

Andre' Grandier - Oscar François de Jarjayes

Coppie:

Andre' Grandier/Oscar François de Jarjayes (Tipo di coppia «Het»)

 

 

              

  


  

 Alter ego 

Su suggerimento dell'amica Chiara, ho provato a dare un seguito alla narrazione di "La sola cosa da fare": qui si entra nel territorio impervio del "What if" ma spero comunque di non aver tradito lo spirito dei personaggi originali. Mi saprete dire...


  

Quel pomeriggio piove a dirotto. Piove a dispetto del crepuscolo ventoso e infuocato che, solo poche ore prima, ha visto spegnersi le speranze matrimoniali del colonnello de Girodelle. Lo sciabordio della pioggia sui vetri non l’ha mai infastidita, anzi, quel rumore ha sempre lenito i suoi pensieri più cupi. 

È passata a trovare André in infermeria in mattinata. Una visita molto breve, dovuta certamente alla premura di non affaticarlo, ma soprattutto all’ostinata reticenza di lui.

Due colpi impertinenti alla porta, e subito la figura gagliarda e imponente di Alain de Soissons si staglia all’ingresso dell’ufficio del colonnello de Jarjayes, come previsto.

Oscar non stacca quasi gli occhi dal foglio mentre invita il nuovo arrivato a chiarire le motivazioni di quella visita per nulla inaspettata.

“Comandante, sono venuto a chiedervi di accordare un congedo al soldato Grandier. Stanotte sono stato con lui in infermeria per evitare che gli facessero altri scherzi ma non posso fargli da balia per tutta la convalescenza”, nonostante l’impegno le parole escono più secche del voluto. D’altronde, de Soissons non è uso a tenere imbrigliata la propria indignazione.

“E chi ti dice che non glieli abbia accordati?”, risponde il colonnello, meglio addestrata alla sottile arte della dissimulazione, “È  stato lui a rifiutarli.  Come si è rifiutato di dirmi i nomi degli autori del pestaggio. Ma forse tu potresti farlo al posto suo…”

Lo guarda dritto negli occhi mentre pronuncia quest’ultima frase, così che sia chiaro che non si tratta di un invito. 

“Sono il loro capo, comandante: non posso tradirli, perderei autorità”, si schermisce de Soissons mostrando le zanne, “La questione, in realtà, è già risolta, ma mi sentirei più tranquillo se André passasse la convalescenza a casa sua. O, meglio, vostra”. 

Non ha tempo di godersi la stoccata che l’altra ribadisce proterva: “Sta a lui decidere”. 

Una breccia negli argini friabili della baldanzosa sufficienza di lui.

Ad ogni passo che lo avvicina all´altra la rabbia tracima: “Quel ragazzo vi ama così tanto che darebbe la vita per voi, ed è con questa indifferenza che lo ripagate?!”  Restando al proprio posto, Oscar si alza in piedi ergendosi in tutta la sua statura. 

Si fronteggiano. Alain prega di leggere un segno, anche minimo, ma dal viso del colonnello traspare null’altro che severa e testarda alterigia.

Che cosa ci trovi in una donna simile, André?, è la seconda volta che se lo chiede in meno di ventiquattr’ore. Eppure in armeria le ha visto l’orrore dipinto in volto.

Ma che ne vuoi sapere tu di noi?, viene da rispondere a Oscar che, invece, opta per un’asciutta indulgenza: “Alain, comprendo perfettamente che tu sia preoccupato per il tuo compagno, ma non ti permetto di rivolgerti a me in questi termini”.

“Con tutto il rispetto, comandante, in infermeria c’è un uomo massacrato di botte il cui unico pensiero è che voi non lasciate l’uniforme per sposarvi con un altro. Un uomo che ha sacrificato tutto per voi e che valuta la propria vita in base ai momenti che può passare al vostro fianco. Un uomo così lo chiamerei pazzo, ma sento che non sta a me giudicarlo. Invece non riesco a sospendere il giudizio su di voi, che tutto questo lo sapete,  ma che vi comportate come se la cosa non vi riguardasse”, non ce la fa proprio a stare zitto ma, in fondo, sta solo  dicendo la verità. 

Gli pare di cogliere un lieve fremito nella figura fiera, gli occhi di Oscar si sfilano dai suoi per posarsi sul plico di carte in bella vista sulla scrivania. Poi torna a guardarlo, con espressione seria ma rischiarata.

“Alain, giudicami pure come ti pare: non mi importa. Ad ogni modo, bisogna saper scegliere le proprie battaglie e questa non potrei mai vincerla”, il tono della voce è fermo quanto sibillino il significato delle parole. Eppure de Soissons giurerebbe di aver visto balenare un sorriso divertito sulle labbra dell’algido comandante.


L’istinto della volpe in cerca del cucciolo smarrito guida Marie Grandier nel dedalo degli stanzoni luridi e incolori della caserma della Guardia Metropolitana. Non ha avuto la pazienza di aspettare che il piantone le facesse strada, ha preferito rischiare di perdersi piuttosto che attendere i comodi di quel giovinastro indolente che l’ha accolta senza riguardi per la sua età e i suoi abiti zuppi.

Mentre si fa strada lungo il porticato interroga i passanti mescolando gentilezza e piglio militaresco, secondo l´intuito e una vaga conoscenza delle mostrine.  L’ultimo della serie è un ragazzone bruno dall’aria disinvolta, mani in tasca e un foulard rosso legato pigramente intorno al collo:  “Questo qui ha l’aria di essere un frequentatore abituale”, valuta oculatamente Marie.

“Giovanotto, per cortesia, sapreste indicarmi dove si trova l’infermeria?”

Alain, sovrappensiero, si ferma ad osservare con simpatia quella vecchina tonda ma energica e gli ci vuole poco a realizzare. Diavolo di un comandante!



“Allora dillo che stai facendo di tutto per farmi morire di crepacuore, ingrato di un nipote!”, ruggisce Marie spalancando la porta dell’infermeria, alle sue spalle Alain, divertito e ammirato. Le fa eco lo strillo assai poco marziale della recluta Cassel, il cui avambraccio è, proprio in quel momento, sottoposto ad una delicatissima operazione di steccatura, inficiata dal collaterale sobbalzo del dottor Faber.

“Madame, per cortesia, qui stiamo operando!”, sbotta giustamente il medico.

“Monsieur, perdonatemi, non avevo considerato…”, si ammansisce, mortificata, l’anziana governante.

“Immagino che siate qui per il soldato Grandier. Sta riposando. Potete raggiungerlo ma moderate il tono di voce”, raccomanda il dottore accennando alla porta alla sua sinistra.  

Gli occhi sciupati di Marie faticano a penetrare il buio della stanza, illuminato debolmente da un doppiere che trova appoggiato su un basso armadietto all’ ingresso. L’odore aspro dell’alcol scadente usato per la disinfezione è uno schiaffo alle narici. Ma l’udito le riporta l’ansito di un solo uomo, così afferra il candelabro e, senza ulteriori esitazioni, va incontro a quel suono angosciante.

“Vergine Santissima, André! Che ti hanno fatto?!”, esclama con voce chioccia alla vista del volto tumefatto del nipote, lampante nella sua rovina anche alla tenue luce delle candele. Istintivamente corre ad aprire le tende, solo per rendersi conto che, con quel diluvio, l’illuminazione non migliora di molto.  Appoggia il doppiere sul comodino sgombro di fianco al capezzale e si siede sul basso sgabello messo a disposizione dei rari visitatori. 

L’altro prova a minimizzare sollevandosi e abbozzando un allegro: “Ehi, nonna!”, ma il dolore mozza il respiro.

“Calma, giovanotto, non è il caso di esagerare!”,  interviene Alain che, sordo alle maledizioni del dottor Faber, ha deciso di non perdersi la scena.

Con tono quasi professionale spiega a Marie: “Suo nipote ha tre costole incrinate, ma gli è andata di lusso, per come l’ho trovato ieri”. 

Gli occhi sgranati della donna gli fanno capire che ha già parlato troppo. 

“André, ma che cosa è successo?”

“Nulla, Madame. Sono solo gli inconvenienti della vita da caserma”, s’intromette di nuovo de Soissons per far risparmiare fiato all’amico.

“Vita da caserma?! Roba da pazzi! Ma che vi è preso a tutti e due? Prima mademoiselle Oscar che lascia la Guardia Reale e scappa in Normandia, poi tu che sparisci e ti arruoli, ora questo. Vuoi farmi morire, André? Perché se sono queste le tue intenzioni, dillo subito che potrei anche accontentarti, alla mia età…”, il viso paffuto va a nascondersi dietro le piccole mani nodose.

“Ma no, nonna”, risponde il nipote in un sussurro, “non dirlo neanche per scherzo…”

“E allora perché hai rifiutato il congedo? Mademoiselle Oscar mi ha detto che ti ha firmato un permesso di dieci giorni, ma tu sei ancora qui”, lo incalza Marie, la cui rabbia ha ripreso vigore.

“Non sono sotto un ponte, sono in infermeria, dove si curano i soldati: esattamente dove devo essere”, si schermisce debolmente l’altro.

“Se ti hanno accordato dieci giorni di congedo significa che qui non puoi starci più di tanto, questi letti serviranno anche ad altri!”, obietta Marie pragmatica,“Vieni a casa con me, André, ti prego”.

“Devo restare nonna”, ribatte l’altro cercando di imprimere tutta la propria pervicacia in un filo di voce.

“Perché? Per far sì che quelli che ti hanno ridotto così finiscano il lavoro? André, ti prego, se non vuoi farlo per questa povera vecchia, fallo almeno per mademoiselle Oscar”. Non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma è così cocciuto…

“Che c’entra Oscar adesso?”, si sforza di fare il vago ma il cuore perde un battito.

“Pensi che le faccia piacere saperti qui così, con il rischio che ci riprovino?”

“Nonna… È tutto a posto, davvero. Non avete nulla di cui preoccuparvi”, insiste fiacco. Ogni sillaba pronunciata è una stilettata. Rinuncia a parlare, ché tanto la nonna fa per due.

“Ha già così tanti pensieri, povera ragazza…”

Posso immaginare…

“Beh, ecco la questione del matrimonio…”

Appunto…

“Ora che ha rifiutato la proposta del colonnello de Girodelle…”

E chi altri, se non lui?!

Strano non averci pensato, anche se di tempo, invero, ne ha avuto poco per farlo.

Però ha rifiutato!

“...verrà dato un ballo in suo onore per permetterle di conoscere altri pretendenti…”

Non fai in tempo a gioire, che arriva subito un’altra botta! E tu che sei solo un servo potrai solo ammirarla da lontano. Come sempre, del resto. 

“André, mi stai ascoltando?”

Lui annuisce piano.

“André, non ho mai nascosto la mia contrarietà rispetto ai progetti del Generale per mademoiselle Oscar, quindi dovrei essere la prima a gioire di questo ripensamento da parte sua. Ma la cosa non mi convince: la mia bambina mi sembra molto turbata, forse è troppo tardi per tornare indietro, per farle cambiare vita. Sono davvero preoccupata e tu sei l’unico che riesce a interpretare i suoi stati d’animo. Ti supplico, vieni a casa per qualche giorno, parla con lei. Lì sarete più liberi di farlo”, gli accarezza leggera la fronte.

“Nonna, Oscar non vuole più che io mi occupi di lei”, un cenno alla giubba blu  abbandonata in fondo al letto, “questo è il massimo che possa fare ormai”.

Le labbra dell’altra si increspano ma il proverbiale senso pratico maschera il disappunto: “Sospettavo che fosse questo il motivo del tuo improvviso colpo di testa. Ad ogni modo, conciato così sei solo un peso per lei: è meglio che tu faccia una convalescenza come si deve. Poi, se vorrai provare a parlarle, sarà tanto di che  guadagnato”, chiosa in cerca del compromesso.

“Dovresti dar retta a tua nonna”, spunta di nuovo Alain, “non posso passare il tempo a badare a un relitto: prima ti rimetti, meglio sarà per tutti!”

Sono commosso da tanto affetto!, pensa André tra ironia e irritazione. Abbassa per un istante le palpebre: il tempo di riprendersi dall’ultima fitta prima di dichiarare la resa.



È passata già una settimana dall’ultima volta che l’ha vista, ma Victor Clément Florian de Girodelle è un uomo d’onore, e non poteva mancare di far visita a un superiore ferito, anche se costui è il padre della donna che lo ha rifiutato senza la premura di una ragionevole spiegazione. Scortesia perdonata soltanto perché è di lei che si tratta.

Avanzando senza fretta tra i noti corridoi di Palazzo de Jarjayes, Victor realizza che le occasioni che l’hanno visto ospite tra quelle ragguardevoli mura, eccettuata la penultima, hanno sempre coinciso con momenti emergenziali, in cui la sua presenza era giustificata unicamente dal suo legame professionale con l’ormai ex colonnello delle Guardie Reali. In altre parole, non ha mai messo piede a palazzo in veste quantomeno di conoscente intimo di colei che, solo pochi giorni fa, ha chiesto in sposa. È stato forse questo il suo errore, dare per scontato un rapporto di amicizia che, a dispetto dei lunghi anni di frequentazione, non è mai riuscito a svilupparsi oltre i cancelli della Reggia di Versailles? Credere che quella quotidianità fatta di ordini dati ed eseguiti, di cordiale confronto su questioni attinenti la protezione dei Reali, potesse rappresentare la base di un rapporto più profondo?

Nondimeno, riconosce che è difficile parlare di intimità in relazione a una donna tanto singolare: così austera, riservata, aliena ai vizi del proprio genere. 

Nessuno potrebbe vantare un’autentica confidenza con una creatura tanto straordinaria!

Il sollievo della conclusione scema mano a mano che mette a fuoco l’immagine del soldato semplice che gli viene incontro con passo cauto e la schiena leggermente flessa.

“Diamine, Grandier! Che vi è successo? Avete la faccia che sembra un campo di battaglia!”, domanda  con un ghigno compiaciuto.

L’altro risponde con il saluto militare più dignitoso che gli consentono le costole in via di guarigione e spiega laconico: “Inconvenienti del mestiere, colonnello”.

Inconvenienti del mestiere?!

Istantaneamente il divertimento di Victor muta in panico.  Sa che Grandier l’ha seguita anche nella Guardia Metropolitana, quindi…

“Quando è successo? Ditemi, anche mademoiselle Oscar… intendevo, il Colonnello de Jarjayes è stato ferito?” 

Possibile che non ne abbia saputo nulla?! Perché nessuno mi ha detto niente?!

Cerca sul viso malconcio della recluta una risposta che tarda ad arrivare. Lo afferra istintivamente per il bavero dell’uniforme.

“No, ero solo”, risponde infine André, atono. Ma Victor non fa in tempo a rilassarsi che l’altro aggiunge con un luccichio sardonico nell’occhio scoperto: “Oscar mi ha soccorso dopo”.

Oscar, Oscar, lui la chiama semplicemente Oscar

Victor sente riacutizzarsi quel prurito fastidioso che l’ha tormentato nei lunghi anni di indesiderata collaborazione, come incredulo testimone della loro illogica intesa. Deve sapere di più.

“Quando è successo? Rispondi!”, gli ordina con inutile protervia.

“Una settimana fa”.

“Una settimana fa”, ripete il novello comandante delle Guardie Reali mentre in testa riecheggia la chiosa dolente dell’amata: “Noi siamo nobili. Né voi né io sappiamo cosa voglia dire essere un servo”.

La sua mente si ancora a quell´attimo tanto da non accorgersi delle parole che scivolano dalla bocca: “Mi chiedo se si renda conto di quanto tu sia parte di lei”.  Ma nessuno dei due ha tempo di realizzare la portata di quel pensiero, poiché un rumore di passi ben noto a entrambi pone fine alla conversazione.

“André che ci fai in giro? Non devi esagerare, lo sai! Ah, Girodelle ci siete anche voi!”, il sorriso cortese e insperato di Oscar non distrae Victor dalla nota di apprensione esclusiva che avverte nel rimprovero indirizzato all’ex attendente.  

Mademoiselle, ero venuto ad accertarmi delle condizioni di vostro padre e sono lieto di apprendere che non ci saranno gravi conseguenze. È un piacere rivedervi, ma ora è il caso di togliere il disturbo. Buona convalescenza anche a voi, André”, si ritira svelto nella speranza di alleviare presto la morsa che gli ha preso lo stomaco.


Dunque, André ha ceduto, pur con la prudenza circospetta della bestia selvatica.  I primi giorni li ha passati a letto, facendosi scudo della sofferenza fisica per non dire, o fare, più di quanto si era ripromesso. Lei è sempre andata a trovarlo nei momenti liberi, ma, più che parlare, si è goduta la sua presenza, il loro esserci di nuovo. Mano a mano che André riacquistava  forze e voce, hanno cominciato timidamente a discorrere mescolando ironia e gravità, con lo sguardo rivolto al passato più innocuo per sollevarsi da un presente opprimente. Un equilibrio fragile e farlocco che, lo sapevano entrambi, non poteva durare. Infatti, è stato spezzato dall´ennesimo incidente, che stavolta ha colpito l’artefice delle loro assurde esistenze.

Strozzata dall’angoscia, in maniera assai poco marziale, lei è crollata al capezzale paterno e se l’è ritrovato davanti, con il sorriso ammaccato e un impeccabile fazzoletto di batista per asciugare le  lacrime. Com’era sempre stato e come avrebbe sempre dovuto essere. 

Non hanno avuto modo di assaporare il momento, sciupato dalle miopi pretese  del Generale, e ora rischiano di smarrirsi ancora. 

Oscar s’è voltata in tempo per cogliere l´occhio buono di André che si sgranava e poi riparava sotto il capo chino. 

Perché non rifiuti?, domanda muta e reciproca, persa tra le raccomandazioni del ferito e gli ammonimenti di Nanny, che li ha invitati a lasciare la stanza per permettere al padrone di riposare.

 Perché non hai rifiutato?, stava per chiedere Oscar, fuori dalla camera, vedendo André incamminarsi docilmente verso il piano inferiore. 

Le è uscito tutt’altro: “Perché indossi l’uniforme qui, in casa?” Cancellando ogni illusione, avrebbe voluto aggiungere.

André si è fermato, ha girato appena la testa verso di lei, con aria falsamente stupita: “E me lo chiedi proprio tu che, a momenti, con l’uniforme ci vai pure a dormire?!”, ha risposto scoppiando nella sua indimenticata risata discola. 

Ma c’era ben poco da scherzare. È tornato indietro di qualche passo, affinché lei potesse leggere chiaramente il suo viso mentre le diceva con voce ferma e un sorriso lieve: “Serve a ricordarmi quale sia il mio posto ora”. 

Perché non hai rifiutato?, sarebbe stato il suo turno di chiederlo ma non se l’è sentita e l’ha lasciata sola a sostenere il peso della recente rivelazione.

Adesso, però, mancano due giorni al rientro in caserma, ci ha dormito sopra e ha capito di non poter rimandare oltre. Si augura che valga lo stesso per Oscar, assorta nel tentativo di cogliere cosa lui e Girodelle si stessero dicendo poco prima del suo arrivo.

“Oscar, ti andrebbe di tirare un po’ di scherma?”

“Scherma?! Non ti sembra di correre troppo? Hai cominciato a muoverti sul serio solo due giorni fa…”

“Sì, ma fra poco rientro in caserma e non potrò certo battere la fiacca: ho bisogno di riattivare la muscolatura!”

“E va bene”, acconsente lei, poco convinta, “ma ti avverto: non ci andrò leggera! Non aspettarti trattamenti di favore perché sei convalescente!”

“Esattamente quello che voglio!”

Escono in giardino con i fioretti in mano e i polmoni che si dilatano avidi della brezza profumata dai narcisi. Oscar è grata al caldo sole di fine aprile che obbliga André a levarsi quella giubba blu, diventata fonte di inquietudine. Ma  i movimenti cauti con cui lui sfila piano la manica del lato ferito impongono nuovamente il dubbio: “Sicuro che riuscirai ad andare in affondo col braccio destro?”

“In effetti, hai ragione, non l´avevo considerato”, conviene André sfregandosi il mento. Un sorriso furbo affiora sulle labbra.

 “Ad ogni modo, con la faticaccia che ho fatto per diventare ambidestro”, prosegue passandosi l’elsa dalla mano destra alla sinistra, “dovrò pur avere qualche vantaggio,  non ti pare?”

Per un momento,  Oscar lo osserva stupita menare all’aria fendenti decisi con la mano “del diavolo”, poi ricorda che André sarebbe mancino: è stato il loro primo precettore, père Lagarde, a imporgli l’uso della destra a suon di bacchettate ed esorcismi in latino. E il Generale non si è opposto, in quanto usare la sinistra, in una realtà dominata da spadaccini destrorsi, avrebbe posto il ragazzo in una condizione di inferiorità rispetto agli avversari.

“Mi rendo conto che lo stile lasci un po’ a desiderare, ma anche il sinistro è forte: lo tengo allenato alternando le mani quando lavoro”, spiega André orgoglioso.

Lei stavolta non dubita perché ha saggiato la forza di quel braccio che l’ha sorretta al termine di ognuna delle loro risse, di quella mano che l’ha trattenuta tante volte dal cadere nelle intemperanze del suo carattere fumantino. Ne avverte ancora il calore sulla propria, rievocando l’ultima alba della loro infanzia. 

Quanto hai dovuto cambiare di te stesso, André, per stare al mio fianco?

Ha esaurito la già scarsa voglia di battersi, ma André è entrato in prima posizione e la invita a farsi sotto con un cenno della mano libera. Combattono specularmente: l´ombra è divenuta riflesso. I movimenti sono netti sebbene non particolarmente rapidi, l’esitazione pensosa di lei è bilanciata dagli affondi sorprendenti di lui.  Le lame si incrociano e si respingono, i corpi avanzano l’uno contro l’altro e subito sfuggono. Gli sguardi, invece, sono saldamente intrecciati, come un tempo. 

“Così non va, Oscar: avevi detto che non ti saresti risparmiata!”, lamenta André tra una parata e una botta dritta. 

“Non mi era mai capitato di combattere contro un mancino”, si giustifica Oscar, scartando di lato per effettuare una cavazione, “oltretutto uno scellerato la cui salute sta più a cuore alla sottoscritta che al diretto interessato!”

“Niente scuse”, incalza André aumentando il ritmo. Il riposo forzato ha giovato alla vista: le immagini risultano meno sfuocate, nessuna traccia di diplopia, per il momento. Cerca di portare Oscar al limite perché sa che, nella smania del combattimento, lei non può nascondersi. Non da lui.

Quando arriva il momento è il cuore gonfio di adrenalina a gridarlo. 

“Allora, andrai a quel ballo?”, domanda stringata, perché i muscoli intercostali sono ancora rigidi e il fiato è già troppo corto. 

“Cos…? Ma che razza di domanda è?!”, si schermisce lei che quasi inciampa, ma subito è costretta ad arretrare per evitare un fuetto.

“Una di quelle semplici. Nel caso, potrei dover chiedere un cambio di turno, perciò gradirei saperlo prima”, logica tagliente che offende al pari della lama che obbliga  l’altra a una seconda cavazione.

“Quindi lo faresti davvero? Davvero mi accompagneresti?”,  contrattacca Oscar, preparandosi a una presa di ferro. Tuttavia, non le riesce di spiazzarlo.

 “Sono un servo, Oscar, la mia volontà conta poco. E, comunque, tutto dipende da cosa sceglierai tu”, ribatte André azzardando una frecciata, ma una fitta improvvisa gli fa perdere l’equilibrio ed è un attimo travolgere anche lei. Rovinano nell’erba, le braccia di lui serrate d’istinto per attutirle l’impatto con il terreno, visi e cuori irrealmente vicini.

“André, ti sei fatto male?”,  chiede Oscar allarmata. 

“Tutto a posto”, risponde lui, ma una smorfia lo tradisce mentre la libera del proprio peso ruotando sul fianco sano.

“Direi che per oggi abbiamo finito”, sentenzia Oscar aiutandolo a rialzarsi.  Poi si accomoda sul bordo della fontana maggiore. André la raggiunge con un po’ di fatica, gli sguardi vagano per il giardino in attesa che il respiro torni regolare.


“André… Obbedirai davvero all’ordine di mio padre?”, chiede Oscar senza voltarsi.

“Gli devo tutto: se non fosse per il Generale non avrei avuto una casa, un’istruzione, un lavoro. Senza contare che non ti avrei mai conosciuta…” 

Forse sarebbe stato meglio per te non avermi mai incontrata…

“E, ribadisco, tutto dipende da cosa farai tu: se deciderai di andare al ballo io obbedirò, altrimenti sarò impossibilitato a farlo.”

“Giusto. Non ci avevo pensato.”

“Dunque?” 

Perché tanta esitazione, Oscar? Hai paura di dirmi che lo farai?

“Ma come fai?”,  svicola lei.

“A fare cosa?”, stringe lui.

“A sopportare che gli altri ti impongano sempre il peso delle proprie scelte?”, Oscar scatta in piedi come morsa da un’aspide, gli occhi saettano d’indignazione. E di pena.

Curioso, potrei farti la stessa domanda…

André sospira guardando di fronte a sé: “ Devo molto a tuo padre…”

“L’hai già detto. Ma come potresti accompagnarmi se non vuoi? Solo per obbedire a un ordine?”, domanda assurda da rivolgere a un servo ma pronunciata all’apice della stizza.

Il tono di voce si alza di un’ulteriore ottava mentre agita i pugni stretti, le unghie conficcate nei palmi: “Tu non vuoi che io mi sposi, lo so, ti ho sentito! Allora come puoi pensare di farlo?!”

Ma che importanza ha, Oscar?

“Rispondi, André!”, ordina quasi sprezzante.

“Lo sai…” 

“No, non lo so…”, insiste testarda. 

“Perché non ho scelta, Oscar, dannazione! NON HO SCELTA!È questo che vuoi sentirmi dire?”, sbotta André alzandosi per fronteggiarla, “O preferisci che ti preghi in ginocchio di non andare? Meglio svenuto sul pavimento dell’armeria mentre mormoro il tuo nome? Sarebbe INUTILE!”

Il ricordo di lui riverso e incosciente la inchioda. André ora la sovrasta, furente.

Perché ti diverti a giocare con me, Oscar?

“Perché sono solo un servo, sì, ma soprattutto perché non posso importi la mia volontà, quello è un “privilegio” che lascio ad altri! Malgrado i miei sentimenti, ti voglio, e ti ho sempre voluta, LIBERA!”, allarga le braccia per resistere alla tentazione di stringerla a sé.

“Ecco perché sarebbe corretto, da parte tua, dirmi chiaramente che cos’hai intenzione di fare. Anche se un’idea ce l’ho, purtroppo”, affonda amaro.

“Che intendi dire?”

“Beh, rifiuti Girodelle, l’unico tra quei nobili con cui hai  un minimo di affinità, per acconsentire a un ballo di cicisbei imbellettati che ti ronzeranno attorno come mosche sul miele…”

“Ma io non ho mai detto nulla del genere!”

“Non l’hai nemmeno negato, Oscar. Se non ci vuoi andare perché non l’hai detto chiaramente a tuo padre?”

“Perché lui è ferito e…”

“E tu non volevi deluderlo. Mi pare chiaro che non sono il solo a subire il peso delle scelte altrui”, conclude André, la rabbia compressa nei tratti tesi del volto. 

Lei tace, in cerca di parole che non vogliono farsi trovare.

Ti prego, Oscar, di’ qualcosa!

Allora l’altro si fa avanti, la affianca, le stringe la mano sinistra nella sua. Sente che è l’ultima occasione per chiarire la sua verità. 

“Oscar, io ho sempre saputo di non poter ambire al ruolo di pretendente ma, purtroppo, non ho potuto fare a meno di innamorarmi di te. E non vivrò abbastanza per scontarlo. Del resto, i miei sentimenti sono un problema che riguarda unicamente il sottoscritto. Tu devi solo promettermi che non ti sposerai, a meno che tu non lo voglia davvero, perché meriti molto di più di un matrimonio di convenienza. So che non avrei diritto di chiedere dopo ciò che ho fatto, ma credimi quando dico che desidero solo il meglio per te. E il meglio non è sicuramente un damerino impomatato che non ha la benché minima idea di chi davvero sia Oscar François de Jarjayes”.  

È tutto. Senza attendere risposta indossa la giubba e si avvia verso il palazzo. Sta valutando l’idea di chiedere un rientro anticipato, quando si sente afferrare per la manica sinistra.

“André, io… io non credo che mi sposerò tanto facilmente”, le parole sussurrate dalla voce da contralto alle sue spalle gli scivolano addosso come le carezze che ha potuto solo sognare. 

André sorride: capisce che l’ha davvero perdonato. E ora può perdonare se stesso.   













  






  











 

  


 









 


 



 


















 

     


                     





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